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“Li femmen e lu fuoche vo esse stuzz’cat nu puoc”

Comincio da qui. Dal delizioso consiglio di questo detto popolare, distillato purissimo di un’Italia che non c’è più, ma che sopravvive nel cuore e nel dna di ognuno di noi. Oggi, con l’ottusa grettezza di un conformismo inutile quanto dannoso, lo si definirebbe un consiglio politicamente scorretto, di quelli che non si possono neanche più riferire per scherzo, perché c’è sempre qualche purista del “rispetto ad oltranza” pronto a contestarci.
Per questo, l’ho scelto.
Perché è tanto politicamente scorretto, quanto paesanamente corretto.
Perché tutti, veniamo da un paese.
Che sia più o meno piccolo, che sia quello dei padri o dei nonni o, magari, direttamente il nostro, nel vissuto culturale di ognuno di noi, nel sedimento stesso dei nostri ricordi e delle nostre emozioni, c’è un paese.
Nel quale, di “politicamente scorretto” non s’è mai parlato, perché il paese non cancella la diversità, ma la esalta, facendone strumento della propria ricchezza. In paese sono tutti diversi, e tutti sanno tutto di tutti, in un gioco di incastri e compensazioni che ne definisce il tempo senza tempo.
Meglio di me, con accenti di pura poesia spontanea, lo racconta un libro straordinario, che ho letto e amato fin dalla prima pagina. E ringrazio Cesare Di Mattia, amico e compagno d’armi, che ha voluto rivelarmene l’esistenza. Il libro, è “Resto qui” e lo firma Domenico Cornacchia, un poco più che trentenne laureato in Agraria, che vive a Santa Rufina di Valle Castellana. Anzi: sarebbe più giusto dire che “è” Santa Rufina di Valle Castellana, visto che Domenico è uno dei cinque che, nei registri dell’anagrafe, risultano residenti in quella frazione.
“Resto qui” è un diario intimo e collettivo, la riuscita narrazione di una dimensione del vivere che - ripeto - ci appartiene e della quale dobbiamo andare fieri. Domenico Cornacchia, con l’occhio curioso e fiero di chi ha scelto di restare, ci affida i ricordi di generazioni di suoi parenti (e di altri, che sono parenti nel sentire dell’anima e per territorialità, se non per legame familiare), tutte composte in una specie di piccolo romanzo familiare nel quale, senza grande fatica, ognuno di noi potrà ritrovare i racconti della propria famiglia. Perché quella che racconta Domenico è l’Italia più vera, quella che conosceva i tempi della terra e le stagioni della semina, i ritmi della mungitura ma anche i suoni della festa, la fatica e il dolore dei campi ma anche la gioia delle tavolate con gli amici. Un’Italia lontana, forse anche troppo, da quei palazzi romani nei quali si scrivono le leggi e i destini della Nazione, ma per questo capace di resistere e sopravvivere a quelle leggi e di scriverselo da sola, il proprio destino. Queste montagne, sospese tra Abruzzo e Marche, che sanno di bosco, di tartufi e di porcini, che conoscono l’odore della neve accatastata a metri, ma sanno anche riconoscere la brezza che soffia leggera dal mare, sono l’enclave della memoria vivente. Perché qui il tempo scorre a modo suo, senza dimenticare.

Quasi fosse una Macondo tutta nostra, Santa Rufina di Valle Castellana diventa, pagina dopo pagina, il crocevia di mille e mill vite, di mille e mille storie, in un intreccio non cronologico, perché le memorie non seguono il filo degli anni, ma quello delle emozioni. Le guerre e i mercati, le feste e i dolori, le gioie e le durezze, la lira e la luna, in questo libro tutto ritorna e tutto riaffiora, perché nulla di quello che si è vissuto, se lo si è vissuto davvero, andrà mai perduto,
Arricchendo le oltre duecento pagine del suo libro, anche di splendide fotografie, straordinari modi di dire e di un delizioso dizionario popolare, Domenico Cornacchia affronta e vince la più difficile delle sfide, quella di dare materia al ricordo, sostanza alla memoria, consistenza al tramandato orale. Questo libro, non è solo la riuscita trascrizione della vita passata e presente… e futura di uno spicchio di terra fatto di boschi e monti, ma il fedele ritratto di quello che siamo e che non dobbiamo mai dimenticare.
Perché, come Domenico, dobbiamo avere il coraggio di “restare qui”, nel nostro paese dell’anima.


Soprattutto se c’è da attizzare un fuoco… o una donna.


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