Non tornavo ad Arsita e al Valfino al Canto-Sagra del Coatto dal 2007, oggi giunto alla sua 37a edizione, perché nel mentre c’è stata tanta vita da sciogliere. E nel mezzo sono passati due terremoti e un nevone che non pochi danni hanno fatto al piccolo paese montano, uno stretto budello cieco di case sotto il Monte Camicia che chiude la provincia di Teramo sul versante interno, ai confini con la provincia di Pescara.
Ma nel trascorrere di tutti questi anni, due terremoti e un nevone, la coesione dell'ospitale popolo arsitato - Arsita, borgo di origine preromana, sta per luogo arso o bruciato, perché si racconta che la vecchia Bacucco fu distrutta da un incendio e riedificata con questo nome agli inizi del '900, ma in realtà il nome di Arsitainizia a essere registrato accanto a quello di Bacucco (che pare fosse dedicato al Dio Bacco) già nel XI sec. a indicare due zone differenziate del paese - è rimasta la stessa, 700 anime spese tutte nell'amore per il proprio paese: credo non ci sia paese al mondo così amato dai suoi abitanti, che per questo resiste allo spopolamento e alle comodità delle città, nonostante la difficile strada provinciale che li separa da Teramo, 31 km di curve di un percorso in molti tratti dissestato, e da Pescara, 51 km però di più facile percorrenza.
Amore quello per Arsita che unisce vecchi e giovani; giovani che continuano a tenere in vita il paese con innumerevoli iniziative tutto l'anno grazie all'attivissima Proloco (link: http://bit.ly/3SGRtl0).
La tradizionale Sagra del Coatto, piatto un tempo povero e antichissimo della tradizione pastorale arsitana - trattasi di uno stufato di carne di pecora in salsa di pomodoro, divenuto oggi una vera prelibatezza - si coniuga a Valfino al Canto unendo al cibo la musica popolare italiana e internazionale a partire dal saltarello abruzzese e i suoi strumenti tipici, l’organetto e la zampogna principalmente, ballo prevalentemente di coppia che ristorava dal duro lavoro delle terre e che favoriva la nascita di nuovi amori; festival quello di Arsita conosciuto in tutto il mondo e che nelle tre giornate di festa - la manifestazione ha una datazione fissa, vale a dire che si svolge sempre dal 9 all'11 agosto di ogni anno - vede riunirsi in quello stretto budello cieco di case sotto il Monte Camicia migliaia di persone che arrivano da tutta Italia e anche dal resto d’Europa, e molti pernottano in paese per tutta la durata dell'evento, gente forestiera ma innamorata del luogo come se fosse il loro; Arsitache ogni anno aumenta i suoi amanti, che accoglie e adotta come figli propri.
Ecco, ora devo concedermi il lusso di una digressione biografica, che spero mi perdonerete: sono nato a Teramo l'11 settembre 1973, ma i miei amatissimi genitori erano entrambi di Arsita, mio padre Ennio e mia madre Raffaela («Con una sola “elle”.»diceva sempre), membri delle due famiglie più note del paese, i Ridolfi e i Trosini – mio nonno Settimio Trosini fu il primo sindaco del paese dopo il Secondo dopoguerra, ad esempio –; e ho trascorsotutte le estati e tutti i natali della mia infanzia ad Arsita.
Quindi, il 10 agosto scorso, per prima cosa, ho ripercorso i luoghi della mia infanzia, il corso principale, rivedendo le case dei miei nonni, "sedendomi" davanti al bar principale del paese come vedevo fare agli adulti, cioè piegando una gamba e poggiando la suola della scarpa contro il muro così da improvvisare un sedile con il proprio corpo, e, soprattutto, la via secondaria, una strada laterale in pietra di fiume rimasta come la ricordavo e dove stavo sempre con il mio amico Antonio, che ora non saprei riconoscere, ma che abitava davanti alla casa di mio padre in paese, sul Corso Vittorio Emanuele, poco prima della vecchia sede comunale e della posta, un altro ufficio pubblico storicamente legato alla mia famiglia: mia nonna materna, Amalia Di Pietrantonio, è stata la prima direttrice dell'ufficio postale del paese. Ecco Antonio, se ti capitasse di leggere questo articolo, chiamami, che vorrei rincontrarti.
Ma quando si interruppe questa mia costante frequentazione del paese?
Sì interruppe quando morì il fratello di mio padre, zio Ermanno, che ci ospitava nella grande casa paterna dove era rimasto ad abitare con la sua famiglia: mio padre, che sin da giovanissimonon mancava neanche un fine settimana di tornare da Teramo ad Arsita, caricando mia madre sul piccolo sedile posteriore della sua Moto Guzzi Galletto, sulla strada ancora bianca per alcuni tratti e ci fosse anche la neve, da quel giorno, pur avendo potuto ristrutturare e abitare nella sua casa di Corso Vittorio Emanuele o essere ospitato da altri parenti che lo invitavano ad andare, non volle tornare più in paese.
Quando ai miei amici oppure a semplici conoscenti, che mi raccontano di quel paesino, di quello stretto budello cieco di case alle pendici del Monte Camicia dove d'estate, dal 9 all'11 agosto di ogni anno, cascasse il mondo, si balla e si canta per tre giorni di fila senza neanche dormire, dico che i miei genitori erano entrambi di Arsita, vedo brillare i loro occhi: li vedo brillare della stessa meraviglia e dello stesso amore che aveva mio padre Ennio per la sua Arsita, che raccoglieva intorno a sé tutti i giovani del paese appena arrivava.
Non credo ci sia paese più amato nel mondo di Arsita, un formicaio di settecento anime laboriose che lo tengono in vita contro la più stolida modernità.
MASSIMO RIDOLFI
Ph.: Locandina e foto dell’evento.
ASCOLTA QUI I VERSI DELLA POESIA “ARSITA” DIMASSIMO RIDOLFI:https://youtu.be/l5sCfUCMFeE .
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