E’ una macchina del tempo, il Palaska questa sera. Sono passati dieci anni esatti, da quel maledetto giorno in cui, sconfitta dall’unico avversario che non avrebbe mai potuto battere, ovvero una situazione debitoria insanabile, la Teramo Basket chiudeva la sua incredibile e magica storia di basket. Una storia fatta di emozioni irripetibili. Che sono ancora tutte qui, Sotto questa ardita cupola, su questo parquet un po’ datato. Sono ancora, qui, i canestri delle promozioni a raffica, i palleggi di Giuseppe Poeta, i punti infiniti di Mario Boni, i primi scontri veri di Achille Polonara, ma anche i sorrisi seriosi di capitan Lulli, la spietata freddezza di Clay Tucker… e se provi a chiudere gli occhi senti l’urlo contro il cielo del Liga declinato alla teramana, e l’eco indimenticabile di un canto che racconta di una città, che se ne sta sdraiata tra due fiumi, ma non è la Babilonia. Di questo scrigno di mai perdute passioni, Carlo Antonetti è il genius loci, il riferimento immancabile, ed è lui ad aggirarsi, quasi nervoso come un tempo, per controllare che tutto vada bene, che questo dono sportivo della Fondazione Ballone alla città sia anche una festa riuscita. E riuscita lo è: il pubblico ha risposto, certo non c’è il sold out del Palaska dei campionati di A1, ma alla fine le presenze sfioreranno le sette-ottocento. E’ sabato, sono le 18, ed è una prima assoluta, va benissimo così. Dopo dieci anni, il pubblico teramano deve poter tornare a credere che al Palaska ci sia grande basket. E grande lo è davvero, visto che il quadrangolare del Trofeo d’Abruzzo ha portato in città due rappresentati del nostro campionato, la Tezenis Verona e la Libertas Pesaro, e due nomi storici della pallacanestro europea, l’Aek Atene e il Bayern Monaco, ovvero un palmarès complessivo di 15 scudetti e 18 coppe. Storia del basket.
Prima di cominciare, Antonetti premia il coach della Scaligera, quell’Alessandro Ramagli che proprio qui, su questo parquet, guidò la Teramo Basket in anni non facili. Gaia Sabbatini alza la prima palla a due, in campo Aek e Tezenis, ed è roba bella da vedere. Forse qualche imprecisione di troppo nel primo quarto, ma ci sta, le squadre sono fredde e ti viene in mente che potrebbero magari giocarsela come un’amichevole. Ma è solo un’illusione, perché poi l’agonismo sale, le percentuali di tiro anche, e lo scontro si accende. Ma, in fondo, questa sera, in questo posto, il momento agonistico, per quanto importante, non è quello che ci “prende” di più. Quello che rende questa sera speciale, è il sogno di un tempo sospeso, sono le facce in tribuna, le stesse di dieci anni fa, è Massimo Corona che fotografa e rende eterni anche questi momenti, è il rumore delle scarpette che squittiscono sul legno lucido, è un pallone che vola, è lo sguardo innamorato di due ragazzini, nascosti con i loro bastoni asciuga-parquet dietro al canestro dal quale partì la corsa eterna di Brandon Brown, che forse non erano neanche nati quel giorno, ma che guardano con gli occhi emozionati tutti i giocatori che entrano in campo. Grazie fondazione Ballone. Grazie di questa emozione.