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Solo una minoranza degli italiani sembra propenso a pianificare la gestione dei propri beni dopo la morte: il 17% degli italiani over 50 ha fatto o pensa di fare un testamento, il 35% è nettamente contrario, mentre il restante 48% non esclude l'idea ma non è nemmeno deciso. È la fotografia scattata dal Comitato Testamento Solidale in una recente ricerca condotta da Walden Lab, secondo cui la propensione a fare testamento risulta particolarmente elevata presso chi ha un titolo di studio alto (27%), fa volontariato (22%), ha più di 70 anni (22% vs 15% della fascia 50-69 anni) e, dato significativo, non ha figli (21% vs 13% di chi è genitore). Inoltre, più della metà di chi ha fatto testamento non lega la decisione a un momento particolare della sua vita, ma il 46% la spiega con motivi di equità e di pax familiaris: decidere a chi destinare i propri beni (23%), evitare discussioni tra eredi (16%), fare una ripartizione equa (7%). Vi è poi un 5% di favorevoli al testamento, circa 450mila italiani over 50, che introduce spontaneamente l'elemento della solidarietà: è un modo, dicono, che consente di "fare del bene”.

Il testamento era un istituto noto sin dai tempi della Grecia antica. Nel diritto romano era riservato al pater familias, che attraverso il testamento nominava erede il più degno tra i suoi figli trasmettendogli la potestas. Ma è nell'Alto Medioevo che emerge in qualche modo il concetto di lascito solidale: il testamento, più che a nominare eredi, serviva per esercitare la pietas cristianapredisponendo opere di bene. Oggi, come ricorda il Comitato, grazie allo strumento del lascito solidale, attraverso il testamento si può pianificare anche un atto di generosità post mortem. Di fatto, in Italia sono ormai quasi 800 mila italiani over 50 che hanno predisposto un lascito solidale, 1 milione quelli che certamente lo farebbero e quasi 5 milioni quelli che lo considerano una possibilità concreta. Inoltre, la ricerca mostra che quasi 8 over 50 su 10 sanno oggi cosa sia un lascito solidale (79%).

Numeri in crescita, che si spiegano anche con l'accresciuta fiducia nel Terzo Settore dopo la dura prova delle crisi globali degli ultimi tre anni. "Un tempo illimitato e sospeso, in tutti i settori, dalla famiglia al lavoro, dalle relazioni io-tu al noi: questo abbiamo vissuto negli ultimi due anni; l'irruzione di una pandemia devastante e inaspettata ha reso consapevoli che il Covid-19 non è solo una epidemia, per quanto grave, ma un turbine i cui effetti sulla vita personale, comunitaria e sociale aumentano con il trascorrere del tempo” spiega Francesca Brezzi[2], Ordinaria di Filosofia morale all'Università degli Studi Roma Tre. "La nostra quotidianità è stata investita da inimmaginabili cambiamenti dei comportamenti e ha visto delinearsi nuovi assetti - con la fine o la distruzione di legami, storie, memorie - mentre emergono in primo piano equilibri fragili, con gravi ripercussioni sul presente e sul futuro, nell'economia, nella politica, nella società e nella cultura tutta. Si sono accentuate le distanze e i confini. Siamo più soli” Da qui, aggiunge Brezzi, "la necessità di ricostruire legami e relazioni anche oltre lo spazio e il tempo, lasciare una traccia, e il testamento solidale rappresenta a nostro parere la cifra essenziale in questi tempi inquieti di un dono unico e particolare, dono che invita a pensare al futuro, individuale e collettivo”. 

La propensione al testamento solidale in Italia è maggiore presso chi fa volontariato (36% vs 14% di chi non lo fa), frequenta riti religiosi (29% vs 18% di chi non frequenta), è un donatore (26% vs 16% di chi non dona), ha un titolo di studio alto (24% vs 17%). Tra le cause più sentite, stabili ricerca medico-scientifica (52%) e assistenza ai malati (28%); salgono aiuti per fame e povertà in altri Paesi (25% vs 18% del 2021) e l'aiuto a persone con disabilità (22% vs 14%).