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Salvezza
Non ho mai letto nulla di Daniele Mencarelli, neanche il suo più grande successo editoriale, appunto Tutto chiede salvezza, dove racconta i suoi trascorsi manicomiali: Mencarelli è un sopravvissuto, un ricacciato dal degrado sociale  grazie soprattutto al salvifico intervento di Davide Rondoni, il noto poeta cattolico praticante che nel 1997 lo fa esordire proprio come autore di versi sulla rivista clanDestino e poi lo introduce come recuperato figliol prodigo al mondo delle associazioni religiose con a capo Comunione e Liberazione: probabilmente è tutta qui la sua salvezza –, che poi se l'è messo a raccontare in prima persona, quella prima persona che in letteratura proprio non sopporto, dove l'autore si piazza davanti al lettore e non gli lascia vedere niente; mi si direbbe: Allora Celine e il tuo amatissimo Kerouac e tanti altri.

Beh, loro sono appunto Celine e Kerouac e tanti altri, e poi, se li si studia, se li si osserva bene da vicino, le loro scritture non sono proprio in prima persona ma è come se fosse una prima persona di tre quarti che ti lascia vedere cosa succede lì davanti alla penna, autori che, a un certo punto, ti fanno passare davanti e ti sussurrano all'orecchio mentre tu vai avanti, perché questi scrittori non raccontano di se stessi ma degli altri, di quello che hanno visto e vissuto, fatti che a loro volta riportato di riflesso – di riflesso – la vita dell'autore, che se ne sta di lato e che lì resta, senza mai frapporsi tra lettore e testo.

Quindi non ho letto nulla di Daniele Mencarelli perché non rientra nei miei gusti letterari – a me gli scrittori basta sentirli parlare per capire cosa aspettarmi di leggere da loro –, ma ho visto la serie NetflixTutto chiede salvezza, direttamente tratta dall'omonimo libro, che non chiamerei mai romanzo, dove l'autore figura come sceneggiatore: del resto oggi è impiegato con questa qualifica in Rai.

La serie è composta da 7 episodi che sforano di poco i 40 minuti, e parte proprio da un TSO subito da Daniele ventenne, soggetto che da giovane abusava di alcol e droghe che scatenavano in lui attacchi di rabbia violenta: quando rientrava spaccava tutto quello che trovava in casa, fino ad arrivare un giorno ad aggredire suo padre, salvo poi, al risveglio dalla sedazione, non ricordare nulla di tutto quello che aveva combinato.

Non so del libro di Mencarelli, ma della serie Netflix non salverò proprio nulla: regia scadente, personaggi scontati – l'energumeno violento che però è buono, il maturo bonaccione che però è cattivo, la checca innamorata del protagonista, l'allettato in stato vegetativo con il padre pietoso accanto, l'alienato come un Cristo ricaduto per sbaglio sulla Terra, il medico buono e quello cattivo, gli infermieri pratici e comprensivi, la starlet sciroccata che siinnamorerà del Daniele della finzione, e poi le confessioni, gli scatti d'ira e le riappacificazioni e il tutto condito da una non più sopportabile calata romanesca che ammala oramai il nostro cinema in modo credo incurabile, che parte probabilmente da una errata reinterpretazione del cinema pasoliniano, e basta guardare la nostra davvero grande commedia per rendersi conto del decadimento estetico a cui siamo giunti: Totò e Fabrizi non hanno inflessioni di alcun tipo nello splendido Guardie e Ladri di Steno-Monicelli, del '51, pur parlando, grazie alla sceneggiatura, una lingua corrente, naturale, credibile, come non le hanno Sordi e Verdone nei loro film –, fotografia da fiction Rai, tant'è che spesso ho guardato l'angolo in alto a sinistra dello schermo per vedere se, maldestramente, non fossi capitato sul primo canale; addirittura anche l'audio, tra un "Ahò!" e un "Dajie!", è di scarsa qualità.

Spero per Daniele Mencarelli che il suo libro – che non leggerò mai perché mi occupo principalmente non di cronaca ma di Letteratura, che è un'arte, quindi non di fatti personali né di casi umani nudi e crudi, vale a dire senza che siano accuratamente vestiti a regola d'arte – sia molto migliore di quello che ho visto, e di solito è così, perché in questa serie non si salva proprio nessuno, tanto meno la qui nascosta critica che l'autore ha invece sempre mosso pubblicamente sulla gestione dei reparti di Salute Mentale del Servizio Sanitario Nazionale dove, a suo dire, si tenderebbe a "psichiatrizzare" ogni comportamento umano, anche quello più innocuo e naturale, ma tutto ciò che è dell'umano è naturale, dalla carezza all'omicidio: è giunta ora di farsene una ragione di tutto quello che c’è nel mezzo di questi due estremi.

MASSIMO RIDOLFI