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ViolenzadonneLe donne in uscita da Centri antiviolenza e Case Rifugio vivono un percorso accidentato, fatto di ostacoli e difficoltà, che le espone a estrema vulnerabilità socioeconomica e al rischio di ricadere nella spirale della violenza. L’allontanamento dalla casa familiare per motivi di sicurezza o perché di proprietà del maltrattante; la mancanza o la sospensione temporanea del lavoro per ricevere cure e supporto, l’impossibilità di disporre dei propri soldi perché sotto il controllo del convivente. Sono queste le necessità impellenti delle donne che hanno subito violenza a cui troppo spesso lo Stato non risponde a causa di politiche frammentarie, incoerenti e fondi stanziati insufficienti a coprire le richieste di supporto per avere un reddito certo, alloggio sicuro e lavoro dignitoso. 

In Abruzzo, Umbria, Marche e Lazio, l’insicurezza abitativa, a distanza di anni dai vari sismi, investe gran parte della popolazione e, soprattutto, le donne in fuoriuscita dalla violenza escluse dalle politiche abitative locali. Nelle aree italiane colpite dai sismi degli ultimi due decenni, la condizione abitativa delle donne in fuoriuscita dalla violenza, già di per sé complessa, è aggravata da un patrimonio residenziale pubblico e privato seriamente danneggiato. Le soluzioni alloggiative di emergenza (Sae) e i moduli abitativi provvisori (Map), in alcuni casi, diventano per le donne l’unico spazio abitabile in attesa che venga completata la ricostruzione, che può richiedere anche molti anni. Il repentino cambiamento della geografia di un paese o di una città causato da un evento improvviso e distruttivo come il terremoto rende molto difficoltoso per una donna che subisce violenza allontanarsi dal proprio maltrattante, rimanendo nel proprio comune di residenza o spostandosi in uno limitrofo. La graduale riqualificazione in corso delle Sae e/o Map in edilizia residenziale pubblica “popolare” non agevola né contribuisce a migliorare l’autonomia abitativa delle donne in fuoriuscita dalla violenza.Per loro, infatti, non sono previsti criteri agevolati per l’accesso ad alloggi a canone ridotto né nella fase di allontanamento da un contesto di violenza né al termine dell’ospitalità in una casa rifugio. Le istituzioni locali tendono a giustificare tale mancanza equiparando le donne che subiscono violenza ad altri gruppi sociali in condizioni di vulnerabilità, non tenendo quindi in alcun conto che, senza un alloggio sicuro, le donne rischiano di ritornare dal maltrattante. Dopo un terremoto, anche le associazioni che si occupano di contrasto alla violenza di genere, i centri antiviolenza, le case rifugio e le associazioni di carattere femminile e femminista spesso devono fare i conti con la mancanza o l’incertezza di spazi fisici dove continuare a operare. Laddove è stato concesso l’uso di moduli abitativi provvisori riconvertiti, non è stata successivamente adottata una politica di tutela a lungo termine né per garantire una sicurezza alloggiativa per le donne né per assicurare la continuità operativa delle strutture sul territorio. Ad oggi, la questione alloggiativa riguardante le donne che subiscono violenza rimane in capo alla sensibilità dell’amministrazione locale di turno. Anche gli enti che hanno sviluppato azioni virtuose (es. assegnazione provvisoria di un appartamento per l’allontanamento dall’abitazione condivisa) non sono riusciti a trasformarle in interventi strutturali. 

È quanto denuncia ActionAid con il report “Diritti in bilico”l’analisi delle politiche e delle risorsenazionali e regionali a sostegno delle donne, attraverso focus group, workshop e interviste che hanno coinvolto circa 100rappresentanti di strutture di accoglienza, servizi territoriali ed enti pubblici per donne in fuoriuscita dalla violenza.Per il periodo 2015-2022, le istituzioni hanno stanziato circa 157 milioni, ovvero 54 euro circa al mese per ogni donna non autonoma economicamente per fornirle un supporto al reddito, promuoverne il re/inserimento lavorativo, garantire una casa sicura e sostenibile nel lungo periodo. Fondi scarsi che dovrebbero sostenere le donne, che spesso non riescono a produrre una dichiarazione Isee separata da quella del maltrattante e accedere a misure contro la povertà(reddito di cittadinanza, reddito di dignità) o di supporto alle famiglie in difficoltà (es. bonus affitto, bollette).

Per vivere una vita libere dalla violenza le donne hanno bisogno di un reddito sufficiente una casa sicura, un lavoro dignitoso e servizi pubblici funzionanti: diritti fondamentali che le istituzioni italiane non sono in grado di garantire a tutte e in tutti i territori. Il rischio è di far tornare le donne, spesso con figlie e figli, dagli autori di violenza, vanificando il loro percorso verso l'autonomia. Quanto tempo ancora le migliaia e migliaia di donne che hanno subito violenza dovranno aspettare prima di poter beneficiare di politiche e servizi strutturali che rispondano alle loro esigenze? Al Governo chiediamo per l’ennesima volta di adottare politiche integrate e strutturali coinvolgendo tutti i Ministeri e gli uffici competenti”dichiara Isabella Orfano, esperta diritti delle donne di ActionAid.

REDDITO, SOLO PER POCHE.Ogni anno sono circa 50mila le donne che si rivolgono ai centri antiviolenza. Nel 2020, le donne assistite dai CAVsenza lavoro o risorse per rendersi autonomeerano il 60,5%. E la quota sale al 70% tra le giovani dai 18 a 29 anni, le più precarieMa gli strumenti adottati dall’Italia per supportare economicamente e finanziariamente le donne sono pochi, frammentari e inadeguati. Il “Reddito di libertà”, istituito nel maggio 2020 con il DL Rilancio dopo i lockdown imposti dal Covid-19, oggi è uno strumento per l’indipendenza economica delle donne in condizioni di povertà che hanno subito violenza. Si tratta di un supporto di 400 euro al mese per massimo 12 mesi.IRdL è finanziato con 12 milioni di europer il periodo 2020-2022: nel primo anno solo 600 donne nehanno beneficiato a fronte delle 3.283 richieste presentate (dati Inps)Con questi fondi si calcola che solo 2.500 donne potranno avere accesso alla misura. Tuttavia, sarebbero circa 21 mila all’anno le donne che ne avrebbero necessità (elaborazione Dati Istat).

LAVOROA livello nazionalenon esiste nessunanormariguardante il re/inserimento lavorativo che prenda in considerazione le specifiche esigenze delle donne in fuoriuscita dalla violenza, cioè i carichi di cura familiari, la precarietà economica, le difficoltà di spostamento o la mancanza di accesso a servizi come asili e nidi. Le misure sono pensate e finanziate da ciascuna Regione in modo diverso attraversopercorsi di formazione professionale, tirocini, borse lavoro, attività di avvio all’autoimprenditorialitàUn quadroche amplifica lo squilibrio territoriale italiano e le diseguaglianze di accesso alle opportunità per le donne, il divario tra grandi città e i piccoli centri.Per la partecipazione delle donne che hanno subito violenza al mercato del lavoro, le istituzioni nazionali e regionali hanno stanziato circa 124 milioni di euro dal 2015 a oggi: il 72% (89,2 milioni) per interventi di mantenimento dell’occupazione e il restante 28% (34,8) per quelli di re/inserimento lavorativo, sebbene il numero di donnedisoccupate accolte dalle strutture antiviolenza nel 2020 sia del 50%. Nel 2015, per il mantenimento dell’occupazione,è stato attivato il congedo indennizzato per vittime di violenza, per cui sono stanziati in media circa 12 milioni annui. Dalla sua introduzione ad oggi, è stato registrato un aumento delle domande presentate del 2.662% (da 50 nel 2016 a 1.331 nel 2021), a cui non è seguita una crescita delle domande accolte. Nel 2021, infatti, solo il 32% delle domande presentate è stato accettato(432 a fronte delle 1.331). 

CASA.Le donne che hanno subito violenza hanno una probabilità quattro volte superiore rispetto alle donne in generale di vivere situazioni di disagio abitativo. Chi deve ricostruire la propria vita spesso ha difficoltà nel pagamento dell’affitto o della rata del mutuo, è costretta a traslochi frequenti, subisce sfratti o si trova a dover vivere in alloggi sovraffollati, insieme ai figli.Per promuovere l’autonomia abitativa delle donne in fuoriuscita dalla violenza, le istituzioni nazionali e regionali hanno stanziato per il periodo 2015-2022 12 milioni di euro, di cui 9,3 milioni da risorse nazionali e 1,8 da quelle regionali. Le risorse sono state spese principalmente per erogare contributi economici alle donne per la copertura di caparre, canoni d’affitto e pagamento di utenze. Si tratta di interventi insufficienti per risorse e tempi di erogazione che non tengono conto della necessità di offrire strumenti per il raggiungimento di un’indipendenza abitativa sostenibile e di lungo periodo