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VitranuLa sera di martedì 13 gennaio 1901, verso le ore venti meno un quarto, a Castelvetrano venne mortalmente ferito, dopo che era uscito dal Circolo dell’Unione insieme con un amico ed era diretto verso la casa della sua amante, il sindaco del paese, cav. Giuseppe Saporito, 52enne, fratello di Vincenzo, deputato alla Camera e avversario di un altro influente esponente politico del trapanese, Nunzio Nasi, ministro dell’istruzione e presidente della commissione parlamentare d’inchiesta incaricata di indagare sulle sue presunte malversazioni. Vennero accusati come esecutori materiali dell’omicidio i fratelli Giuseppe e Francesco Guzzo e il loro cugino Giovanni Mandina e come mandanti i fratelli Luigi e Filippo Ampola, rivali dei fratelli Saporito. Dopo il proscioglimento degli Ampola, per insufficienza di indizi, intervenuto nel 1902, l’accusa proseguì per i fratelli Guzzo e per Mandina. Ma il processo venne spostato dalla Corte d’Assise di Trapani a quella di Palermo, per “legittima suspicione” e per lo stesso motivo gli venne assegnata una nuova destinazione. Celebrato presso la Corte d’Assise di Teramo da mercoledì 22 marzo a mercoledì 31 maggio 1905, venne seguito da tutta la città con spasmodico interesse fino alla sua conclusione a sorpresa.
“Ammazzaru u sinnacu ri Castidduvitranu” è il titolo del 41° giallo teramano di Elso Simone Serpentini (Artemia Nova Editrice), che verrà presentato martedì 6 dicembre alle ore 17,30 nella corte interna della Biblioteca “Delfico” a Teramo. Dialogherà con l’autore sulla ricostruzione di un processo di mafia celebrato a Teramo nei primi del Novecento l’avv. Tommaso Navarra. Tra i numerosi testi che deposero nelle numerose udienze figurarono il delegato di P.S. di Castelvetrano Cesare Mori, che poi diventerà celebre come “Prefetto di ferro” per la sua lotta contro la mafia siciliana, e il nonno di Matteo Messina Denaro, oggi imprendibile capo di Cosa Nostra. Nel corso del processo fu un caso l’audizione dei testimoni, che si esprimevano in dialetto siciliano assai stretto e si alternarono diversi interpreti, per lo più siciliani residenti a Teramo, nel tentativo di rendere più chiare le loro dichiarazioni, non sempre con successo. Il rappresentante dell’accusa era lo stesso P.M. che poco prima aveva fatto condannare a Perugia il bandito Musolino. Arrivò a Teramo e fu trattato come una celebrità dal pubblico e dai colleghi. Come reagirono i teramani ad un processo di mafia celebrato nel 1905? Nelle pagine del libro su questo tema il lettore troverà numerosi elementi di riflessione.