• MCDONALDS
×

Avviso

Non ci sono cétégorie

carlodimarco

Prof. Carlo Di Marco Leone

Dopo le elezioni politiche di quest’anno e nei mesi appena successivi, fra i raggruppamenti politici giuliesi che compongono la maggioranza si sono verificati gli ormai abituali cambi di casacca post-elettorali e spostamenti di cariche pubbliche mirati al raggiungimento di personali obiettivi di carriera e di prestigi autoreferenziali, in vista delle prossime elezioni comunali. Il problema che si pongono tali raggruppamenti, infatti, è quello di presentarsi all’elettorato con una veste abbastanza credibile per racimolare il 51% del 50% (quando va bene) dei voti validi che usciranno dalle urne. Non di recuperare (almeno in parte) quell’altro 50%: questo obiettivo non interessa quasi nessuno dei gruppi politici in lizza perché si sa, “meno siamo e meglio stiamo”.

A nessuno di essi viene in mente che il fenomeno del “non voto” si verifica per l’inaffidabilità di questa classe politica che si forma per accordi fra vertici di schieramenti già esistenti, di altri che nascono per l’occasione ed altri ancora che si sciolgono per “rinascere” in qualche altra parte di questo andirivieni di contatti fra “capi”e piccole oligarchie di “aspiranti”. Ognuno di essi rivendica dei primati: Tizio rappresenta una determinata storia, Caio una certa tradizione, Sempronio una certa categoria importante che porta voti; Nevio rappresenta il mondo del lavoro e chi più ne ha più ne mette.

Bisogna poi evidenziare altri aspetti della questione. Ad esempio, il profilo programmatico. Chi scrive i programmi? I capi. Essi si consultano con gli altri capi e buttano giù dei documenti che più o meno ricalcano quelli delle precedenti consultazioni, modificandoli in qualche parte per rendendoli “attuali”. Ma quali sono le linee guida?  È proprio su questo risvolto che si profila un altro elemento di fondamentale importanza: una campagna elettorale anche locale costa una cifra spropositata di danari sonanti: vuoi perché la pubblicità in sé è sempre costosissima, vuoi perché l’apparenza prevale sulla sostanza delle cose che si dicono, e costa ancora più della pubblicità. Certi fondi devono essere anticipati, poiché come è noto, il rimborso previsto per legge è su rendicontazione e da qualche parte quei costosissimi tabelloni contenenti gigantografie che stazionano per mesi agli incroci, interviste, comparse televisive, manifesti, volantini, sale per conferenze, affitto delle sedi elettorali ecc. devono essere pagati subito e spesso senza fattura.

In questo contesto, esistono anche gruppi politici animati da sincere mire democratiche e sociali che vivono il dramma di doversi districare raccogliendo fondi volontari fra cittadini, associazioni e realtà che operano nel sociale, autotassandosi, ricorrendo a iniziative trasparenti di autofinanziamento, ma lo sforzo è ciclopico poiché prevalgono quasi sempre “committenti” che preferiscono gruppi più “affidabili”. Essi sono facoltosi imprenditori locali; costruttori affamati di aree e suoli da occupare; lobbies commerciali. I programmi di cui abbiam parlato, pertanto, in maniera diretta o velata (pur corredati da demagogiche e vane promesse di partecipazione e di disponibilità all’ascolto di tutti) per lo più devono rispecchiare le esigenze di chi paga, sapendo che poi, una volta raggiunto il potere, si passerà all’incasso.

 A proposito di quelle forze, diciamo così, “sane” che potrebbero narrare una diversa storia della politica, animate da sincere mire democratiche, a Giulianova come in altre parti possono essere individuate nei resti di una sinistra (vera e presunta: per me resta la distinzione fatta tante volte, da ultimo nel mio Democrazia e Costituzione sulla scena tragicomica del presente parte seconda: il trionfo degli equivoci, sul mio Blog personale) alla ricerca di identità e di un ruolo, come solitamente accade sui livelli nazionali, ma le forze politiche che ne fanno parte,  nei metodi di costruzione dell’alternativa a chi governa, non sempre si distinguono da tutti gli altri partiti. Chi candidare? Con quali schieramenti allearsi? Con quale programma? Tutto viene deciso nelle riunioni dei capi escludendo che su questa fase preparatoria delle elezioni i cittadini possano avere un ruolo protagonista.

È sempre stato così? No. Dirlo sarebbe un’inesattezza: in un passato che ormai si avvia a diventare remoto, tutto questo era deciso a seguito di percorsi assembleari di base promossi dai partiti di massa; questi riempivano le loro sedi di iscritti che discutevano per mesi, avvalendosi dell’apporto di una società civile presente, pur se margini di manovre da parte di gruppetti oligarchici ci sono sempre stati, ma con l’osservanza del giusto rapporto fra cittadini (il sovrano) e i partiti (uno degli strumenti del sovrano) fissato nell’art. 49 della Costituzione, i primi avevano un ruolo protagonista sin dall’avvio delle operazioni preliminari di ogni elezione. L’anomala inversione di questi ruoli è sintomo dell’attuale crisi della democrazia.

Alla base dell’anomalia vi è una scarsa comprensione del programma costituzionale e una autoreferenzialità diffusa che si limita alla guerra fra gruppi per il potere locale. Non vi sono altri obiettivi come, per esempio, la crescita culturale dei cittadini; l’espansione del loro ruolo attivo in tutte le questioni della collettività locale; l’incremento delle sue capacità propositive e del senso civico. All’inizio del secolo scorso, questo era praticamente impossibile per il dilagare dell’analfabetismo, oggi lo impedisce solo l’ignoranza che il disegno costituzionale vorrebbe espugnare: visto che oggi tutti sappiamo leggere, insomma, basterebbe farlo con la Costituzione davanti per scoprire che la partecipazione popolare non si realizza su “pietanze” preconfezionate.

Per portare un esempio ed essere più chiari, secondo le rispettive pratiche oramai consolidate da decenni, nei bilanci partecipativi non si scrive prima il bilancio per portarlo poi ai cittadini. Si apre, al contrario, una stagione di assemblee popolari che dura un intero anno solare; poi il bilancio viene scritto da una commissione formata da rappresentanti eletti nelle assemblee insieme al servizio finanziario del Comune; viene poi riportato nelle assemblee per l’approvazione definitiva. Solo dopo questo percorso il bilancio entra in Consiglio comunale nei termini e nei modi previsti dalla legge. Insomma, la partecipazione popolare è tale solo se i cittadini intervengono dall’inizio: dalla fase di progettazione e di programmazione, altrimenti il coinvolgimento popolare rientrerebbe nella categoria delle mere informazioni che lasciano i cittadini in una posizione passiva

Allora che fare? Per le riflessioni che precedono, si potrebbero riproporre i punti essenziali di un progetto ideato dall’Associazione Demos (di cui ho l’onore di essere presidente da oltre dodici anni) nello scorso gennaio. Si potrebbe finalmente dare ai cittadini il senso di un cambiamento reale nei modi e nei metodi della politica facendo un po’ come nei bilanci partecipativi: un programma elettorale potrebbe emergere dalla base dei cittadini attraverso l’alternarsi di azioni assembleari in tre fasi:

a) ASCOLTO – assemblee, forum e focus groups nei quartieri e nelle frazioni al fine di acquisire elementi conoscitivi delle problematiche capillari;
b) ELABORAZIONE – scrutinio dei verbali ed elaborazione di una prima bozza di programma;
c) DEFINIZIONE POPOLARE – ritorno alle assemblee per la definizione democratica del programma e delle candidature.

Durante lo svolgimento delle tre fasi, potrebbero emergere dai cittadini stessi i nominativi dei candidati e quello del candidato Sindaco, sottraendo così questo compito alle logiche clientelari, verticistiche e oligarchiche che animano le scelte sui candidati sindaci.

Il metodo proposto non è un’invenzione, ma trova le sue radici in molti principi costituzionali come quelli del metodo democratico, della partecipazione, della programmazione democratica, del rispetto delle persone e delle formazioni sociali in cui esse si realizzano. Esso presuppone un capovolgimento democratico e radicale senza precedenti dei rapporti interni ai partiti e ai gruppi politici.

Una domanda però viene spontanea: Avrà la sinistra giuliese il coraggio di rompere il circolo vizioso nel quale è finita? La strada indicata io credo sia l’unica possibile e sono fiducioso: qualcosa in questo senso, infatti, si sta muovendo, ma è noto che il mio inguaribile ottimismo spesso si scontra con l’altrettanto inguaribile auto-referenzialità partitica d’altri tempi.