• MCDONALDS
×

Avviso

Non ci sono cétégorie

CheatQuesta opera teatrale è il settimo testo per la scena di Massimo Ridolfi“che è sempre un testo da dire più che da leggere”. Cronologicamente segue il poderoso testo corale Il Pensiero delle Nuvole, drammaturgia elaborata e licenziata nel 2012 (Letterature Indipendenti, Teramo, 2019), omaggio alla finitezza dell’umano ispirato e dedicato alla Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters (1868-1950) del 1915; drammaturgo che, dopo lo sconvolgente il CAPITALE (Letterature Indipendenti, Teramo, 2021), riprende le sue pubblicazioni per il teatro ribadendo, oggi più che mai, “l’urgenza di rappresentare il nostro presente a teatro, azione che vivifica il prossimo futuro di questo stesso presente, perché è l’unica arte che si rappresenta viva ai vivi e che ci ricorda che siamo viventi.”

Per l’occasione di questa quinta pubblicazione nella collana “Nei Luoghi di Godot, che Letterature Indipendenti ha voluto dedicare alla sua opera teatrale, il drammaturgo teramano si è reso disponibile a rispondere ad alcune domande concedendoci una breve intervista inerente questo suo lavoro elaborato e licenziato nel 2013.

L.I.: Questo tuo testo si apre con una epigrafe di Umberto Saba: “il desiderio dolce / e vano / d’immettere la mia dentro la calda / vita di tutti”. Ci spieghi questa tua scelta, considerato che in ogni tuo libro nulla è posto per caso e tutto ha un senso?

M.R.:«La poesia, innanzitutto, deve essere un punto centrale, di partenza e di arrivo, per ogni percorso che voglia definirsi artistico, quindi il confronto con i poeti, soprattutto quelli di parola, penso sia imprescindibile; e credo allora che in questi suoi versi Saba centri quello che significa la vita spesa dell’artista a vantaggio dell’intera umanità. Vale a dire, tornando al senso di ogni cosa, di questa sua azione, che è inarrestabile, di mescolarsi alla Vita con il solo fine di testimoniarla. Azione vana ma non inutile; vana perché difficilmente il fare dell’artista, questo suo proprio ruolo civile quindi politico, a mio avviso importante, fondamentale, gli è riconosciuto. Anzi, non credo sia stato mai riconosciuto il ruolo dell’artista nella società, come corpo politico intendo. Questo potrebbe avvenire solo se gli stati istituissero un Parlamento dell’Arte, e obbligassero ogni decisione del legislatore a passarne il vaglio per la valutazione della portanza estetica di ogni legge prima che sia promulgata. E sarebbe un ruolo tutt’altro che teorico ma propriamente pratico perché questo ipotetico istituto, se esistesse davvero un giorno, impedirebbe lo scempio del paesaggio, ad esempio». 

L.I.: E poi c’è il Bertolt Brecht de Il signorPuntila e il suo servo Matti.

M.R.: «Sì, perché lo straniamento brechtiano è evocazione e mai immedesimazione; e in questo monologo racconto, evoco, la vita di un solo uomo e, allora, della intera umanità. Racconto ChetBaker perché ricerco l’uomo in ogni storia, perché ogni uomo è il calco esatto della intera umanità. L’umanità è, ovviamente, un insieme complesso perché fatto di molteplici esistenze che muovono contemporaneamente: a me questa complessità interessa. È questa complessità, che sempre attira la mia attenzione, che cerco allora di semplificare per riuscire così a comprenderla. L’arte è sublimazione per semplificazione dei concetti: chi produce arte complicata, vale a dire che non sia comprensibile alle masse, non fa arte e non è un artista. Chi pretende una conoscenza ulteriore che preceda e accompagni il dato artistico, l’opera d’arte, non è un artista. Ma, attenzione!,semplificazione non significa semplice o facile, o facilitare. E per arrivare a questo bisogna per forza, credo, partire dall’uomo: il cominciamento di tutto è l’uomo.È per questo che ricerco l’uomo in ogni storia, perché ogni uomo, ripeto, è il calco esatto della intera umanità. Ne è la esatta sintesi. Le differenze tra un uomo e un altro sono davvero minime, se ci pensiamo bene».

L.I.: In questa tua opera ti misuri allora nel racconto dell'intera società umana contenendola in un solo uomo?

M.R.Sì, è proprio quello che ho tentato di fare.La storia di ChetBaker ci racconta con assoluta precisione la vicenda umana, come ogni singolo uomo racchiude in sé tutta la vicenda umana. E tutto questo a me interessa molto, perché tutta la mia opera è contemplazione dell'uomo: è solo questo il soggetto della mia ricerca e non credo ce ne siano di più interessanti. Ed è solo grazie a questa intensità che credo di riuscire a vedere l'uomo solo dove è più invisibile. Per questo l'uomo rappresenta una inesauribile maschera tragica. Per questo il teatro è luogo esclusivo dell'umano».

L.I.: Questo testo pare essere un prosimetro, mi sbaglio?

M.R.: «Non è un prosimetro, almeno nelle mie intenzioni, anche se potrebbe apparire come tale: è, a tutti gli effetti, una prosa, alla quale però ho cercato di dare un beat jazz, come un assolo di tromba di Chet Baker, stentoreo e sincopato».

L.I.: Come giudichi questo tuo monologo, che giunge a pubblicazione dopo il fluviale Mulieri Michele di Innocenzo(Letterature Indipendenti, Teramo, 2019, N.d.R.)?

M.R.: «Innanzitutto questo testo lo precede di ben sei anni: riprendo questo monologo dopo quasi dieci anni perché lo licenziai nel 2013. In ogni modo, credo che sia un testo più agile ma che mantenga una sua propria peculiare precisione. E questa mia vuole essere solo una valutazione tecnica, critica. Autocritica»

L.I.: In tutti i tuoi testi teatrali, che siano commedie o monologhi, c’è sempre una certa circolarità drammaturgica, intendo la voluta, credo, reiterazione di battute e gesti.

M.R.: «Sì, questo è senz’altro vero. È una struttura drammaturgica che sicuramente caratterizza i miei testi teatrali, ricercata e, confermo, voluta. Credo che certi concetti, certe azioni, se ripetuti facilitino la comprensione profonda del testo da parte dello spettatore, come all’attore – per tornare alla Lezione brechtiana – la costruzione della sua propria interpretazione del testo, che è la parte autoriale che condivide direttamente con il drammaturgo, ma pochi sono coscienti di questo particolare aspetto dell’arte teatrale, che è prima di tutto arte della recitazione. La gran parte degli attori, cioè quasi la loro totalità, si limitano a fare il rifare la parte senza ricercare quello straniamento che porti all’evocazione, rischiando così a ogni recita, come a ogni replica, l’imitazione. E questo “guasto attoriale” è tutta responsabilità dei registi: credo che nell’ultimo secolo e spiccioli si sia data davvero troppa importanza alla regia, di cui il teatro non ha alcun bisogno – questo che sia ben chiaro –, perché tutto quello che è indispensabile al teatro è già pienamente contenuto nei ruoli di drammaturgo e di capocomico. Il teatro italiano potrà salvarsi solo se torna alla sua unica tradizione, che è quella del capocomicato, abbandonando falsi modelli anglosassoni, tanto in voga ora, che non portano ad altro che all’imitazione, che è la più grossa disgrazia che possa succedere a un artista»

L.I.: Perché Chet Baker?

M.R.: «Perché l’ho sempre amato. E quando scrivo, scrivo sempre d’amore. E Chet Baker in questo mio lavoro rappresenta quel calco esatto dell’intera umanità di cui ho bisogno nel tentativo di ogni sua rappresentazione artistica, letteraria, drammaturgica. 

Immaginai così Chet Baker solo; anzi lo vidi, come sempre mi capita quando scrivo. Lo vidi solo come era solo quella notte ad Amsterdam.

Lo vidi raccontarmi la sua vita, l'uomo, l'umanità. E qui ho, semplicemente, riportato quella visione. 

Lo scrittore non inventa nulla. Lo scrittore è un visionario che riporta solo quello che riesce a vedere».

L.I.: Non mi risulta tu abbia mai fatto regie teatrali?

M.R.: «È così. Ma la regia è insita in ogni drammaturgia che sia tale. Il drammaturgo, credo, sia un regista naturale, e che il suo spettacolo l’abbia già montato e visto prima ancora di scriverlo, tornando a quella visione di cui ho appena detto».

L.I.: Qual è il tuo pensiero rispetto alla situazione autoriale nel teatro italiano contemporaneo?

M.R.: «Il teatro che oggi si produce in Italia è sempre più vicino al cinema e sempre più si allontana dal teatro: basta guardare la stagione dei teatri stabili, dove ci si limita a fare il rifare la parte ma, oggi, come se si fosse in una sala posa, vale a dire all’interno di una produzione cinematografica e non propriamente teatrale. Sicuramente si eccede nella caratterizzazione dei personaggi, che è un modo tutto americano di recitazione solo cinematografica. E questa deriva è stata, credo, favorita dall’isolamento da Covid: in due anni di produzioni a distanza, si è data troppa confidenza alla macchina da presa, e si è finito per trasformare il palco teatrale in una sala di posa».

L.I.: Come organizzi il tuo lavoro?

M.R.: «Io procedo per innamoramento. E, grazie a Dio, mi capita ancora di innamorarmi spesso e volentieri».  

 -------

Letterature Indipendenti 

Prossime Uscite 

Collana: "Nei Luoghi di Godot"

Collezione Teatro

17dicembre 2022

CHET SPEAKS 

un monologo scritto da Massimo Ridolfi

130 p.

Disponibile solo sulle piattaforme Amazon e GIUNTIalPunto

Ph.: "Chet Baker" nel tratto di Carmine Di Giandomenico, 2021, opera realizzata appositamente per la copertina del libro.