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Nel suo libro “Sulla Fotografia” Susan Sontag afferma che la civiltà, dopo l’industrializzazione, con il mezzo fotografico ha sostituito l’immagine alla parola, il dato visivo al dato concettuale.
Il progetto Tiziano is my love, sovverte questa dichiarazione.
Lavoro complesso, della durata di due anni circa, restituisce oggi una mostra allestita alla Sala Espositiva di Via Nicola Palma, visitabile fino al 30 Dicembre 2022. La affiancano un catalogo con foto del fotografo Giampiero Marcocci e testi Di Daniela Ferroni e un docu-film, esposto al momento in mostra, testimonianza di voci corali degli abitanti di Via Longo. Voci che documentano la memoria di un luogo la cui sorte è legata alle vicende dell’edilizia pubblica di fine anni Cinquanta e che oggi è oggetto di interventi di riqualificazione, in un’ottica di una nuova socialità cittadina.
Tra gli anni Cinquanta e gli anni Ottanta in Via Longo c’erano più di novanta famiglie; oggi solo circa una trentina vi abitano. Tutto era più vivo allora. Attualmente restano i ricordi e la memoria che Marcocci, artista di grande acume, talento e sensibilità, ha voluto ritrarre, dando voce a questo posto che ha importanza sì storica e locale, all’interno dell’edilizia popolare, ma in aggiunta ha per lui valore affettivo.

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 Da dove viene il titolo dell’esposizione? Se lo sono chiesti in molti. Tiziano è tante persone del luogo ma nessuno sembra essere il destinatario del messaggio impresso sul muro come una lapide.
Tiziano is my love è un grido d’amore. Può l’amore salvare un luogo di periferia, concetto spesso accostato al degrado e alla desolazione (che certo accompagnano il presente), alla vita semplice e popolare, all’aspetto malfamato e invece dignitoso, ricco di eventi e storie, crocevia di vissuti e racconti, di trasformazioni sociali e culturali? E come non pensare alla periferia romana del neorealismo descritta magistralmente da Pasolini, o al più moderno regista Matteo Garrone, o ancora agli artisti torinesi Botto e Bruno? L’amore può farlo perché la periferia è uno spazio dell’anima contraddittorio, come l’anima stessa, e a non viverci dentro si rischia l’errore del pregiudizio, non se ne assapora la bellezza. La vita del proletariato teramano è accaduta in Via Longo, luogo di grande aggregazione, che Marcocci vive e respira ai tempi dell’assenza del parco fluviale come lo conosciamo noi oggi, alla sola vista di un campetto, dapprima dalla finestra della sua casa, abitando nei pressi, poi direttamente sul posto attraverso amicizie, amori, sport, legami consolidati nel tempo.

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Documentare attraverso le fotografie è compito del fotoreporter (il Fotoreportage nasce intorno alla metà del Novecento) quale lo è Giampiero Marcocci, artista e documentarista internazionale, che ha collaborato con agenzie fotogiornalistiche italiane del calibro di La Repubblica, il Corriere della Sera, Avvenire e con la fotografia ha ritratto luoghi come la Palestina, Gerusalemme, Israele, entrando a contatto con la loro drammatica realtà.

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 Ancora ci ha restituito vividi ritratti dell’Iran, dell’India, del Marocco, della Turchia

 Screenshot_2022-12-20_alle_13.42.22.pnge di luoghi locali che raccontano tradizioni ma anche fatti tragici, come quello del terremoto dell’Aquila del 2009 o rimandano alla vita negli ospedali psichiatrici.

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Accanto alla sua indagine sociale e sul reale, di cui uno dei più noti interpreti è Gabriele Basilico, c’è anche un filone visionario, vicino al simbolismo, fatto di bianchi e immagini oniriche e sognate. Si intrecciano così due sguardi, quello sul reale e l’altro surreale, in pose che si stagliano su cornici cosmopolite, così come in interni di case desolate, alla maniera di Roland Barthes: “Potevo dirlo altrimenti: ciò che costituisce la natura della Fotografia, è la posa”.
E’ necessario entrare tra le palazzine di Via Longo o nei vicoli per respirare le pose di chi li ha abitati e li vive ancora e la loro autenticità. Ecco dunque una carrellata di immagini e parole.
C’è chi parte, chi resta per assistere i genitori anziani, chi in quelle case si è ammalato, chi non c’è più, l’odore del caffè, gli interni morbidi e vissuti, gli esterni di verde e panchine, a sostituzione dell’odierno mondo virtuale.

 Screenshot_2022-12-20_alle_13.42.41.pngC’è la vita del poeta, il desiderio del riscatto, la gerarchia dei padri nei confronti dei figli, la fanciullezza passata, sguardi che volgono altrove, quadri, rosari e icone religiose su pareti affollate, carta da parati, fiori. C’è la vita dentro.


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