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Madonnarapita“Vorrei cantar quel memorando sdegno
ch’infiammò già ne’ fieri petti umani
un’infelice e vil Secchia di legno
che tolsero a i Petroni i Gemignani.”

Comincia con questi versi un celebre poema pubblicato a Parigi nel 1622 e attribuito ad Alessandro Tassoni, di genere definito “eroicomico” in quanto narra, seguendo uno schema e un tono tipico dei grandi poemi eroici una vicenda comica, il rapimento di una secchia di legno dai modenesi ai bolognesi al tempo di Federico II. Il titolo del poema è appunto “La secchia rapita”. Tutto il poema ha come argomento centrale e fondamentale “un memorando sdegno”, per una semplice secchia rapita, in fondo cosa di poco conto e di poco valore materiale, ma di grande valore simbolico, perché aveva determinato il disonore delle vittime del rapimento ad opera dei tracotanti e infidi rapitori. Immaginate quale dovrebbe essere ancora più “memorando” lo sdegno dei cittadini di Castelli, che hanno subito il rapimento di un non meno importante simbolo del loro paese, una madonna. In comune i due simboli (entrambi rapiti) hanno materia di cui erano fatti: il legno. Come la secchia dei bolognesi, anche la madonna di Castelli è di legno. A rapire la prima furono i modenesi, a rapire la seconda è stata la Sovrintendenza Regionale d’Abruzzo. I modenesi rapirono la secchia dopo essersene serviti per attingere acqua da un pozzo bolognese presso il quale si erano fermati durante un combattimento, la Sovrintendenza Regionale d’Abruzzo ha rapito la madonna di Castelli nel 2009 sostenendo che doveva restaurarla dopo il danneggiamento provocato dal sisma. Come i modenesi non restituirono la secchia di legno ai bolognesi, così la Sovrintendenza Regionale d’Abruzzo non ha restituito ai castellani la loro madonna di legno, riportandola nella chiesa dove si trovava prima. A nulla sono valse finora le richieste di restituzione che, per la verità, finora sono state colpevolmente blande, forse perché lo sdegno dei castellani, sempre meno numerosi, non è stato poi così tanto “memorando”. Così la Sovrintendenza Regionale d’Abruzzo ha potuto impunemente continuare la sua guerra contro i beni artistici e architettonici che avrebbe il compito di tutelare e che invece ha sempre cercato in ogni modo di danneggiare. Se volessi e dovessi elencare e descrivere tutti i danni arrecati in opere e in omissioni dalla Sovrintendenza Regionale d’Abruzzo a ciò che per obbligo istituzionale dovrebbe tutelare non mi basterebbe una risma di carta e perciò ometto. Ometto anche di ricostruire nel dettaglio il rapimento e le ragioni di una legittima doglianza castellana di cui solo il maggiore studioso della ceramica castellana e della sua storia, Diego Troiano, “vox clamantis in deserto” si sta facendo quasi quotidianamente interprete, nel generale silenzio degli altri, che per nascita sarebbero da considerare più castellani di lui. Voglio qui solo parlare di uno sdegno castellano che tanto memorando non è, perché finora non si è concretizzato al punto da ottenere un qualche risultato, nemmeno una promessa di restituzione. Lasciatemi solo immaginare un redivivo Tassoni che al rapimento della madonna di legno di Castelli dedichi un altro poema eroicomico, che sarebbe del tutto adeguato ai dirigenti della Sovrintendenza Regionale d’Abruzzo, i quali, dal primo all’ultimo, non hanno nulla di eroico ma presentano tutti i tratti della comicità, la quale, tuttavia, non può essere sottovalutata perché in tante occasioni ha prodotto tragicità. Non so se e quando la madonna di legno rapita di Castelli sarà restituita, ma spero che lo sia e che ci sia chi abbia abbastanza autorità da imporne la restituzione ai legittimi proprietari: la comunità castellana. Una cosa è certo: il rapimento della madonna è un ulteriore conferma che per l’Abruzzo la Sovrintendenza è più un male che un bene, più un danno che un vantaggio.

Elso Simone Serpentini

corrosivo