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Suxi«Dopo ciò egli uscì e vide un pubblicano di nome Levi seduto al banco delle imposte, e gli disse: “Seguimi!”. Egli, lasciando tutto, si alzò e lo seguì. Poi Levi gli preparò un grande banchetto nella sua casa. Cera una folla di pubblicani e daltra gente seduta con loro a tavola. I farisei e i loro scribi mormoravano e dicevano ai suoi discepoli: “Perché mangiate e bevete con i pubblicani e i peccatori?”. Gesù rispose: “Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati”».

Per trattare il tema del suicidio, comincio questo articolo da un passo del Vangelo di Cristo, (Luca 5, 27-31), che, a prescindere dal proprio credo religioso o meno, è sempre inesauribile fonte di insegnamento che, in più, lascia luomo a nudo, lo spoglia a ogni lettura di tutte le proprie convinzioni, che apparivano incrollabili fino a un attimo prima.

Argomento complesso quello del suicidio, per nulla glorioso, come vorrebbero invece interpretarlo alcuni critici presi da mitomania, accadimento che è sempre drammatico mache diventa tragicosolonella sua scoperta, in più imperscrutabile perché in ogni uomo cè un abisso, ma, sicuramente, il CIM, così come è strutturato, vale a dire con psichiatri e psicoterapeuti rinchiusi negli ambulatori pubblici, non funziona; e, in più, lestate, periodo delicatissimo per chi soffre di depressione, malattia gravemente invalidante, il servizio è ridotto quando dovrebbe essere invece implementato: chi soffre di depressione, perché è qui che si annida il suicidio, lestateviene abbandonato dal Servizio Sanitario Nazionale come un cane a bordo strada, però, dei cani giustamenteci si preoccupa con campagne di sensibilizzazione e prevenzione; del depresso, invece, ci si interessa solo dopo il suicidio per redigere report inutili come quello che abbiamo letto riportato su queste pagine.

Ma che cosè poi, per chi la vive e muore, questa depressione di cui si dice tanto in giro, come fosse un vizio di cui vergognarsi? La depressione è una malattia dell’animo umano – eh sì, esistel’anima cari amici marxisti – che porta a un costante desiderio di morte con cui si fa i conti tutti i giorni, ventiquattro ore al giorno, compromettendo ogni altro aspetto della salute dellindividuo che ne soffre. È una reazione a un trauma che mina per sempre l’animo umano, una cicatrice indelebileche va a segnare la sfera sentimentale, vale a dire la parte sensibile, percettiva dell’essere umano: di depressione non si guarisceuna volta che ti prende,resta lì!e ci si ritrova intrappolati dentro un tormento costante, e troppo spesso di questa malattia si muore: i più fortunati e dimentichi riescono a istaurarci, al massimo, una dura convivenzaNon credo ci sia malattia più grave e più urgente. E sarà sempre peggio in questo mondo ogni giorno più al singolare, monoporzionale, da poter vivere solo in isolamento, digitalizzato fino alla spersonalizzazione dellindividuo.

Potrebbe essere allora forse daiuto fare quattro cose in croce e non disperdersi nella redazione di report inutili:

1. Istituire un registro dei pazienti affetti da depressione in modo da monitorare le loro visite di controllo e terapie, così da preoccuparsi se il paziente mancasse a visita da più tempo, in quanto soggetto sottoposto a importante trattamentofarmacologico;
2. Implementare il servizio nei mesi estivi;
3. Stabilire visite domiciliari: è il medico che deve andare dal paziente, soprattutto da chi soffre di depressione, paziente che ha problemi persino a uscire di casa, e poi è solo nel domicilio che davvero si può avere contezza del reale stato del malato di depressione;
4. Procedere anche a visite di supporto in via telematica;
5. Assicurare al paziente che a occuparsi della sua cura sarà sempre lo stesso specialista, nei limiti del possibile, certo;
6. Il calendario delle visite di controllo deve essere organizzato direttamente dal reparto e non dal CUP, che spesso per motivi di riorganizzazione degli appuntamenti rimodula le prestazioni finendo per lasciare il paziente orfano dello specialista di riferimento per mesi, che poi si ritrova magari costretto a parlare daccapo dei propri problemi di salute con un nuovo psichiatria, mai visto prima,che, piuttosto spesso, lo guarda come fosse un pazzo che non sa cosa vada cercando, motivo enormemente stressante, fatto che altera ulteriormente lumore del paziente – tutto, però, si risolverebbe brillantemente se il paziente fosseabbastanza ricco da poter ricorrere ogni volta alla visita a pagamento tramite intramoenia o facendosi seguire non dal servizio pubblico ma da quello privatistico.

Anche nel disservizio si annida il suicidio.

Il malato psichiatrico, nonostante riforme e amenità varie, in Italia è tuttora abbandonato alla sua sorte, basti pensare allemergenza Covid-19: a Teramo il primo reparto che fu smantellato per rispondere allurgenza sanitaria fu proprio quello psichiatrico, decentrando i servizi, non tenendo neanche conto che molti dei pazienti non guidano.

Ma loccasione mi è utile a ricordare, soprattutto agli psichiatri, che mai nessuno è morto di suicidio, come invece le evidenze parrebbero testimoniare, perché tutti questi suicidi sono morti certamente solo di depressione, e di abbandono.

Quando un uomo arriva a togliersi la vita significa solo che era già morto molto tempo prima, perdendo irrimediabilmente la sua personalità, il suo istinto di sopravvivenza e di conservazione, quindi non può essere ancora considerato un gesto volontario quello del suicidio perché è appunto assente ogni volontà, ogni azione scaturita dal pensiero, perché a mancare in quel gesto, che parrebbe invece comprendere ogni cosa, è proprio la persona, cioè chi dovrebbe commettere l’atto volontario: chiamiamolo piuttosto il suicidio “il callo” o “la soupramorte, vale a dire come il caso della morte di un individuo che era già morto alla vita reale, che è quella dei rapporti famigliari e sociali. Eh sì, perché di quelluomo o di quella donna rimasti appesi al soffitto, o in un lago di sangue, o nel sonno, o caduti dal ponte, era trattenuto e sopravviveva,e molto male anche,solo il corpo da questa infausta parte, ma come di guscio vuotoDi tutto questo, paradossalmente, si è accorta persino la Chiesa cattolica ma non la scienza medica. La depressione troppo spesso e da sempre è trattata con superficialità dagli stessi sanitari. Basti ricordare per tutti la sorte di Ernest Hemingway, lo scrittore più importante del 900 perché lartista che più di tutti ha saputo avvicinare larte alla vita, che il 26 giugno del 1961 fu dimesso come “clinicamente guarito” dal SunValley Hospital e poi, il 2 luglio successivo, fu ritrovato con il cranio scappellato da un colpo di fucile a Ketchum.

Si interroghi la ricerca, invece di rilasciare inutili report doccasione, su che cosa sia chimicamente questo istinto di sopravvivenza e di conservazione, che si lavori lì, che se ne ricavi una molecola da dare a chi sta male – un male muto eppure assordante – perché l’ha irrimediabilmente perduto questo primordiale istinto, nativo, originale, originario, salvifico. Questo sì potrebbe avere un senso medico: dei necrologi che ce ne facciamo?

Il malato psichiatrico vale meno di un cane legato in luglio a un palo a bordo strada. I malati da sempre più scandalosi e disprezzati perché i più vicini a Dio.

MASSIMO RIDOLFI