a Roberto Cosenza (1971-2023), ai nostri 45anni di fratellanza, sullo stesso pianerottolo, porta a porta, divisi da un sottilissimo tramezzo; a quel viaggio a notte fatta verso Riccione e Rimini su quella scassatissima Peugeot arancione, che si arrivò che non c’era più nessuno…E da qui, e da qui / Non le vedi più quelle estati lì / Quelle estati lì…
NantasSalvalaggio era un uomo alto, elegante, colto ma anche uno sportivo con un passato da cestista nella Reyer Venezia con cui giocò in Serie A. Nantas era davvero un bell’uomo, uno tutto d’un pezzo, un tipo di successo, e, in più, era anche scrittore, apprezzatissimo romanziere, e la sua penna era contesa dalle maggiori testate italiane perché intervenisse sui fatti di attualità. A guardarlo bene, Nantas era un tipo alla Gianni Agnelli; no!, anzi no, questo è un paradigma troppo distante, soprattutto per i più giovani; Elkann: NantasSalvalaggio era un tipo alla Alain Elkann, ma molto più povero e cattivo. Ecco, figuratevelo così. Insomma, Nantas, che ha girato il mondo quasi quanto il suo concittadino Marco Polo, era un cavaliere solitario senza paura e senza macchia sulle sue camicie perfettamente inamidate, e con licenza di uccidere pure, con la penna, si intende, e scorrendo un po’ su tutte le testate nazionali: fu lui a fondare Panorama, allora mensile culturale, che pure diresse fino al ‘64. Tutti gli invidiarono l’intervista a Merilyn Monroe del 1956 per il settimanale Epoca. Nantas fu il primo giornalista al mondo a riuscire a intervistare la diva, cosa che lo rese famosissimo, che gli fece financoguadagnare gli insulti di un altro soggetto di una cattiveria leggendaria con la penna sguainata, Oriana Fallaci.
Insomma, arriviamo al 1980 che Nantas ha già pubblicato una ventina di romanzi e impazza da quasi tre decadi sui giornali italiani a penna tratta, quando vide alla odiata televisione ospitare nella Domenica In di Pippo Baudo un nuovo fenomeno della musica leggera italiana, che mal sopportò, lui, un veneziano cresciuto tra le musiche di Richard Wagner e Franz Liszt, ma scherziamo!, eh…oh… che qui Non siamo mica gli americani!verrebbe da dire, da Venezia o da dov’è che stava Nantas quel 14 dicembre del 1980 solo davanti alla televisione, invece di uscire in quella secca e assolata domenica dicembrina, a dieci giorni dalla vigilia di Natale.
Allora, Nantas, senza paura e senza macchia, trasse la sua brillante stilografica dal suo prestigioso astuccio, dritta, appuntita, affilata, tagliente, perché lui non era mica quel tale che scrive sul giornaleun po’ a casaccio. Eh no! Accidenti: lui scriveva per ammazzare, che la sua stilografica mica sparava a salve (e tanto meno a salvare); e per ammazzarlo bene quel bruto sceso inopinatamente e in diretta sulla televisione di Stato, la TV delle famiglie italiane, che quel giorno c’erano a guardare pure i bambini, scrisse: «Il divo di questo “complesso”, che più complessato di così si muore, è un certo Vasco. [...] ... un bell’ebete, anzi un ebete piuttosto bruttino, malfermo sulle gambe, con gli occhiali fumè dello zombie, dell’alcolizzato, del drogato “fatto”. [...] Cultura? Eh, già, lettore: è di moda, oggi, chiamare cultura tutto, anche il pernacchio da stadio, anche le scritte nei cessi pubblici. Esiste un sociologo che difende “la cultura della droga”.» Insomma, più che il testo di un prestigioso autore, a rileggerlo oggi quell’articolo pare lo sfogo di un “moderno” odiatore da social network. Era un elzeviro su tre colonne per il settimanale Oggi del 31 dicembre 1980 scritto per la sua rubrica La società in cui viviamo - I nostri eroi dal titolo Anche alla TV c’è l’“ero” libera.
A dire il vero, però, Vasco la vita non se l’è certo risparmiata per dopo la morte dentro 46 anni di carriera e di palco. Difatti fu proprio per detenzione e spaccio di cocaina (26 grammi) che fu arrestato il 20 aprile 1984 in una discoteca di Bologna. Vasco passò ben 22 giorni in prigione a Pesaro. La condanna fu di 2 anni e 8 mesi con la condizionale, ma in dibattimento cadde l’accusa di spaccio rimanendo solo quella di detenzione di sostanza stupefacente. L’esperienza del carcere fu talmente scioccante per il cantautore di Zocca che riuscì a trovare la forza di disintossicarsi dalle anfetamine e dalla coca. Ma il 1° luglio 1988, come si dice in gergo, venneripizzicato con la coca nell’automobile, ma forse non era la sua, e chi lo sa... Eh... Oh...Però, lui è un buono: basta guardarlo negli occhi per capirlo. E di una bontà semplice, di quelle che, sì, sono pure capaci di incazzarsi per difenderla questa bontà semplice, ma che non portano mai rancore, pure se non dimenticano.
Per quanto mi riguarda, ho cresciuto la mia adolescenza ascoltando le sue canzoni. E mi piacevano le sue canzoni perché mi dicevano di cose che mi interessavano. Di musica. Di ragazze. Le estati soprattutto ricordo passate ad ascoltare Vasco Rossi. Estate e Vasco sono una cosa sola. E le sue canzoni continuo ad ascoltarle: è di casa Vasco nella mia discoteca, ed è davvero in ottima compagnia; ad esempio c’è pure LouReed nella mia discoteca: «E intanto mi chiedevo: gente della Tv, della stampa, del governo, ma quando faremo un’indagine seria, un calcolo approssimativo, di tutti i giovani che si sono “fatti”, che si sono procurati un passaporto per l’altro mondo, sulle orme dei cantori dell’eroina, come quel tale LouReed, che a Milano si pronuncia giustamente Lùrid?» scriveva pure NantasSalvalaggio in quel suo articolo. Ma chi se lo ricorda NantasSalvalaggio, oggi?
Con il tempo, ho poi iniziato e imparato ad apprezzare Vasco Rossi anche come poeta, perché il suo modo di scrivere testi per canzoni è lo stesso del poeta, che affastella immagini, che procedenon per logica ma per evocazioni; anche il suo verseggiare (non il poetare ma l’interiezione, l’onomatopea) è parte di questa sua propria poesia, che poi musica e interpretazione amalgamano nella canzone cosiddetta d’autore.
Ma questo documentario per Netflix è tutto sbagliato. Sono di un qualche interesse, forse, le prime due puntate perché propongono un Vasco quasi inedito nella sua Zocca, essendo stato sempre molto riservato sulla propria vita privata – e così rimane anche dopo la visione di questo inutile film. Per il resto si riproponequello che è stato già visto e rivisto in numerosi speciali televisivi a lui dedicati, fatti che una regia scolastica e un montaggio privo di fantasia ricamano proprio come ti aspetteresti, fino al risaputo del risaputo, ben oltre la noia – persino l’audio è scadente, tant’è che a volte si fa fatica a capire quello che Vasco ci dice. Molto più riuscito fu il film documentario che raccontava i suoi 6 concerti a San Siro, Vasco - NonStop Live, 2019, sempre con la regia di PepsyRomanoff (Giuseppe Domingo Romano). Nella scrittura di questo documentario si manca di indagare la profondità del personaggio – forse anche per indisponibilità del soggetto, che allora avrebbe dovuto essere scartato –, che negandosi questa possibilità e azzardo riesce, ahimè, a rendere noioso e persino ridicolo, e per questo si autoriduce a un indesiderabile infantile documento di autoproclamazione con chiusura buonista dove tutti tornano a casa per piangere morti e perdonare tradimenti, ma mai dimentichi. Insomma: questo lavoro manca totalmente di spessore intellettuale, vale a dire di un pensiero che lo abbia prima generato, elaborato e poi fermato sulla carta, per così giungere davvero preparati all’avventura della sua produzione. E questa debolezza intellettuale è probabile che sia stata frutto della facilità del prodotto da andare a vendere, qualsiasi forma avesse avuto, senza stare tanto a problematizzare il soggetto, che tanto basta che lo tieni lì a sedere con la chitarra o in piedi a camminare, a dire e cantare quello che gli pare, che tanto tutti se lo stanno a sentire e a guardare senza farsi tante domande dietro agli occhi che nel mentre vedono. E il tutto, così come è stato impacchettato e infiocchettato, ci dà l’impressione di un artista risolto, che è, sia chiaro, la peggiore disgrazia che possa mai capitare a un poeta, perché Vasco Rossi – si dica forte – è un poeta, e tra i maggiori degli ultimi cinquant’anni.
L’unica cosa che si scopre in questo film è che Vasco nell’estate dell’85 riuscì a mettere incinte due donne.
MASSIMO RIDOLFI