Valentina arriva puntuale sotto casa. Mi chiama per avvisarmi che è arrivata. Scendo. Bella donna. Ultimamente un po’ incerta sul colore dei capelli. Il suo corpo ospita diversi tatuaggi. Tatuaggi importanti che le decorano il corpo, che lo colorano. Le dedicai dei versi a proposito di questa sua passione, e della sua persona. Addosso ha ancora evidente il raccolto del sole dell’estate. Abbronzatura e tatuaggi?penso, mentre Valentina mi dice che, per la fretta, ha dimenticato di portarmi le caramelle. Sì, le caramelle, perché io adoro le caramelle e vivrei solo di quelle, perché lei di mestiere inventa caramelle per una importante multinazionale italiana.
Valentina è passata a prendermi perché siamo diretti alla FreehandFucktory Tattoo & Piercing di Daniele Dazi, perché lo devo intervistare a Daniele. Il suo studio si trova proprio davanti al casello autostradale di Mosciano Sant’Angelo. E Daniele se l’è fatto da sé il suo studio, mazzetta da cinque alla mano, a buttar giù tramezzi, letteralmente, perché il suo laboratorio è un open-space dove ospita anche altri artisti del tatuaggio, e ognuno con una sua propria ricerca, diversa da quella che porta avanti lui.
Per quanto mi riguarda, è la prima volta che entro nello studio di un tatuatore, ed è pure la prima volta che vedo fare dal vivo un tatuaggio, e la prima cosa che imparo (che scopro) da Daniele è che l’incarnato, la pelle umana, più è bianca e più si dipinge meglio, come è vero del foglio bianco, della tela. Un’altra cosa che scopro è che anche Daniele adora le caramelle, ma non so se vivrebbe solo di quelle.
Abbronzatura e tatuaggi? Valentina è un adorabile disastro, penso.
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Non c’è arte più viva di questa credo, perché agisce sul corpo umano, perché mette in scena una galleria a cielo aperto che muove intorno a noi.
Che si prova a dipingere concretamente, quindi indelebilmente, un corpo umano?
Sì lascia una impronta diversa, oltre a quei segni che ogni persona porta con sé per patrimonio genetico. Come il colore degli occhi, la forma del naso, le impronte digitali o, accidentalmente, una cicatrice. Hai la consapevolezza che quella persona questo particolare dipingere lo porterà con sé tutta la vita. Ed è solo con tale senso di responsabilità che si può riuscire a fare bene questo mestiere, che è artigianato prima che arte, come qualsiasi altra disciplina artistica. E deve essere dato il giusto rispetto al corpo che sceglie di farsi dipingere, perché nel corpo abita la persona. Per fare tutto questo bisogna cercare la vena empatica con il soggetto che hai di fronte. Bisogna riuscire a interpretare i suoi desideri. E questa è la parte più stancante del mio lavoro.
Quanti corpi credi di aver tatuato nella tua carriera, grossomodo?
Tatuo dal 2009. E dal 4 aprile 2009 tatuo tutti i giorni. Almeno duemila persone hanno scelto di avere un mio tatuaggio addosso. E, per scelta, per salvaguardare la qualità del mio lavoro, non mi dedico a più di un progettoal giorno, che può richiederemolte oredi attività e di più sedute per realizzarsi, sempre nel rispetto dei desideri di chi ho di fronte;e tutta questa attenzione rappresenta la migliore garanzia che si possa offrire a chi si rivolge al mio studio.
Che cos’è un tatuaggio?
Un ricordo. Un monito. È assolutamente un memento. Ha anche una funzione esorcistica il tatuaggio. Suggella la vita di una persona. Ma, soprattutto, è una cicatrice che, però, si è scelta di avere. E, per quanto mi riguarda, è un ricordo a colori. Io dipingo solo a colori.
Pare che oramai un italiano su due abbia almeno un tatuaggioaddosso. Siamo il Paese più tatuato al mondo. Una volta, all’estero, si diceva di noi italiani che per riconoscerci bastasse guardare se indossassimo gli occhiali da sole e se avessimo il telefonino in mano. Ora diranno, probabilmente, di controllare se abbiamo tatuaggi sul corpo, almeno nelle parti visibili. Che significa questa esplosione di gente tatuata? Ha un senso o è solo una moda? Qual è la tua interpretazione del fenomeno sociale, di massa, perché tale è, del tatuaggio?
Se fosse vero che siamo il Paese più tatuato al mondo, ci sarebbe qualcosa che non va, anche di preoccupante probabilmente. Di narcisistico, forse. E questo atteggiamento rappresenterebbe l’esatto contrario del concetto filosofico del fare e farsi fare tatuaggi, che è una scelta, un’azione che richiede ricerca e conoscenza di se stessi prima di tutto, molto prima di arrivare a mettere la propria pelle sotto l’ago del tatuatore. Questo comportamento farebbe degenerare l’arte del tatuatore, quando questo lo assecondasse; magari accrescerebbe così i propri profitti, ma comprometterebbe sicuramente la sua arte, la qualità della resa del suo mestiere, la propria artigianalitàanche. Difatti la qualità media dei tatuaggi che posso vedere in giro, in quella galleria a cielo aperto che figuravi tu, è molto bassa. Sì, è spesso una moda. Un manifestazione di massa. Il fenomeno sociale del tatuaggio, con questi numeri, rappresenterebbe il pieno tradimento del senso del tatuaggio. Farsi tatuare significa offrire all’artista la propria intimità, aprire completamente il libro della propria storia personale; e non è sicuramente un ambiente pubblico quello dell’intimità. Interpretato in questo modo,cioè diversamente dal concetto filosofico che lo accompagna e motiva, il tatuaggio non significa nulla. Non può significare nulla di concreto. Sarebbe solo esibizionismo.
Il dolore: il tatuaggio è spesso legato al dolore, un dolore di tipo sentimentale perché magari ricorda un amore finito o la perdita di una persona cara, ma anche il dolore fisico che provoca il farsi tatuare. Cosa puoi dirmi a proposito? Immagino che ti capiti di fare anche da spalla consolatrice, daconfessore ai tuoi clienti, soprattutto nelle sessioni di lavoro più lunghe.
Una persona davanti al dolore si apre. Nel momento del dolore, la persona comincia a parlare. A confessarsi anche, è vero. Perché di fronte al dolore scopriamo per primi tutte le nostre debolezze. Di fronte al dolore sono fallite tutte le nostre difese. Il dolore ci fa piccolissimi. Ci fa tornare bambini. Il dolore è la fonte sorgiva del tatuaggio, che spinge a farsi tatuare, a scegliere quella cicatrice di cui dicevo. Però, può rappresentare anche la porta al piacere, come mi ricorda spesso una mia cliente. Nel dolore si ha bisogno di aiuto. Ma il miglior anestetico al dolore è la motivazione, tornando alla domanda precedente. Devi credere necessario alla tua storia quel tatuaggio che vorresti farti, proprio quella cicatrice lì, proprio in quel punto lì.
Il tatuaggio può, però, anche essere una maschera, un mascheramento?
Sì, effettivamente potrebbe rappresentare anche questo. È probabile che chi viva un disagio fisico, oppure psicologico, o anche entrambi, problematicamente, lo possa affrontare con il tatuaggio, sperando così di superarlo o, addirittura, illudendosi di nasconderlo; allo stesso modo di chi questo disagio lo affrontasse con il fitness, o con la chirurgia estetica.
Sei solito consigliare i tuoi clienti; e, nel caso, sconsigliare?
Io amo soprattutto sconsigliare i miei clienti. Ed è una necessità consigliarli. È uno studio creativo quello che ho ideato e creato con le mie stesse mani. Qui si entra con una idea e la si affida alla visione di un’artista che porti quella idea a compimento. Passo la maggior parte del mio tempo in riunione con il cliente, molto prima di sottoporlo al tatuaggio vero e proprio. La consulenza è un rito indispensabile, non superabile.
Possiamo affermare con certezza che il tatuatore è un artista, e, per i motivi già emersi in questa intervista, oggi addirittura è quello più influente nella società, perché, intervenendo direttamente sul corpo umano, ridisegna e condiziona la sua propria estetica, quindi l’aspetto dell’essere umano. Questo in arte non è mai successo prima. Avverti tu, personalmente, questo ruolo sociale?
Ribadisco che, ben prima di sentirsi artisti, è fondamentale capire che questo è prima di tutto un lavoro di artigianato. Insomma, è un lavoro che richiede una particolare gavetta di apprendimento perché comporta una certa responsabilità, e una grande umiltà. Poi posso affermare di essere artista perché credo di avere una mia visione delle cose, che poi è quello che mi aiuta ad avvicinarmi al cliente e al suo corpo riuscendo a trovare un terreno comune, che si è in grado di attraversare insieme. Tale responsabilità si può affrontare solo con passione. È la passione il termometro di tutto questo processo creativo che porta alla realizzazione di un tatuaggio; di quella cicatrice lì, esattamente in quel punto del corpo.
Come sei arrivato al tatuaggio?
Il corpo umano era l’unica superficie sulla quale non avevo mai disegnato. Io nasco come writer, e ho disegnato e sperimentando tantissime tecniche pittoriche: olio, acquerello, incisione, acquaforte; perfino la scultura ho praticato. Solo sulla pelle umana non avendo mai disegnato. È la ricerca che mi ha spinto verso il tatuaggio.
Ricordi la prima volta che hai fatto un tatuaggio che mettesse finalmente a fuoco il tuo tratto, la tua unicità di artista?
Ancora non è arrivato quel momento. Ce ne sono un paio di tatuaggi, di lavori, ai quali sono particolarmente legato. Ma non si finisce mai di imparare. Siamo artigiani, non mi stancherò mai di ripeterlo. Quello che oggi credo mi identifichi come autore, domani sicuramente non sarà più in grado di testimoniare appieno il mio lavoro, che è poi quello che sono. La ricerca è continua e infinita.
Non pochi sono i pentiti del tatuaggio tra quel 48% di italiani che ne hanno addosso almeno uno, che vorrebbero togliere. Quale sarà il futuro del tatuaggio, da quello che puoi osservare dal tuo personale laboratorio di ricerca e di pratica?
Io sono specializzato in coperture. Questo posso dirlo. E questa mia specializzazione è stata possibile perché, come ho già detto, io lavoro esclusivamente con il colore, che permette maggiore operatività. Quindi questo fenomeno del “pentitismo” del tatuato l’ho affrontato ampiamente. Ma mettere le mani sul lavoro di un altro professionista non è mai un atto eticamente corretto. Io personalmente non coprirei nessuno dei tatuaggi che ho addosso. È all’origine l’errore. Il peccato originale. L’errore comincia molto prima di arrivare dentro lo studio del tatuatore. Bisogna prima fare i conti con se stessi per non rischiare che il tatuaggio si trasformi in una maschera, come dicevi giustamente. Il futuro del tatuaggio è determinato sempre dal senso estetico etico e morale del tatuatore: sta a questo artigiano che presta la sua opera sul corpo umano decidere quale sarà il tatuaggio del futuro, quale sarà domani quella galleria a cielo aperto che dicevi.
MASSIMO RIDOLFI
Ph.: Nella foto l’artista Daniele Dazi all’opera nel proprio studio, FreehandFucktory Tattoo & Piercing, Mosciano Sant’Angelo, Teramo.