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elsosimoneserpentini

Due parole, ancora, dopo l’assemblea pubblica di ieri dei tifosi del calcio teramano. Due note a margine, volutamente in ordine sparso, a futura memoria. Sono intervenuto dopo il sindaco, il quale, coraggiosamente questa volta, è venuto anche lui e ha detto. Ecco, qui sta il punto. Ha detto… i politici non devono dire, devono fare, se possono… e magari fare prima di venire a dire. Così anche io, che non posso fare, solo dire, gli ho detto. Aveva chiesto fiducia… gli ho detto che io non ne avevo e non ne ho. Aveva detto di voler fare… e io gli ho ricordato e gli ho imputato di non aver fatto. Certo non poteva influire nel momento della sciagurata convenzione del 2008, perché non c’era (strano caso che a Teramo venga abbattuto un Teatro ottocentesco non esclusivamente per sua colpa, ma comunque seduto sullo scranno cittadino più alto uno dei più accreditati intellettuali del tempo, e che si sia approvata una convenzione scandalosamente a vantaggio degli interessi privati e a discapito dell’interesse pubblico non esclusivamente per sua colpa, ma comunque seduto sullo scranno cittadino più alto il più accreditato commercialista del tempo), ma poteva influire nel momento del passaggio da un gestore all’altro, non limitandosi a perpetuare la convenzione così com’era, ma modificandola e riequilibrando i piatti della bilancia degli interessi pubblici e privati. Gli ho rimproverato di aver tranquillizzato nel 2019 gli sportivi assicurando di aver “blindato” la convenzione, lasciando credere a tutti che avesse modificato la convenzione e invece non l’aveva modificata, anzi l’aveva lasciata esattamente così com’era. Fu un’occasione mancata e io ho parlato di occasioni mancate nella questione della stadio e ho detto che oggi abbiamo un’altra occasione, che non possiamo mancare, un’occasione dataci dagli splendidi tifosi che hanno deciso di sacrificare la propria passione sportiva non recandosi a tifare la propria squadra in uno stadio che non sentono proprio, per dare appunto l’occasione di non mettere la testa sotto la sabbia dei risultati sportivi e magari di un’altra promozione, trascurando così l’imperiosa necessità di risolvere una volta per tutte la questione della gestione dello stadio, che non può essere lasciata a beneficio di avventurieri di passo.

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Ho rimproverato al sindaco di aver offerto all’attuale gestore su un piatto d’argento un PEF che gli avrebbe consegnato lo stadio per decenni e ho attribuito il fallimento dell’operazione–regalo solo ad un miracolo (compiuto in parte dalla sua stessa maggioranza non coesa sul punto). Ho preso atto della sua presa di posizione, sulla sua affermata volontà di percorrere una strada di cui ha indicato vagamente i tratti e i caratteri, basati sulla distinzione tra attività sportiva e attività commerciale dello stadio – peraltro rimanendo sul vago e nell’indistinto – e gli ho detto che non gli credevo e non mi fidavo. Non mi fido dei politici, specie se hanno sbagliato, e il sindaco da politico ha fin qui anche lui molto sbagliato, compiendo atti che l’attuale gestore hanno favorito, non sfavorito e dissuaso. Gli ho detto che lo vedevo – date le sua parole - impegnato in una partita a poker contro il gestore, ma gli ho fatto presente che egli stesso aveva dato al suo rivale – se ora lo considerava tale – delle ottime carte da giocare, tenendo per sé delle scartine, avendo dato al gestore degli assi e tenendo per sé dei sette.

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Lui ha insistito nella sua replica, ha detto che i suoi obiettivi ora sono e saranno gli stessi degli sportivi che si erano ieri riuniti proprio per ribadirli. Gli ho fatto presente che quegli obiettivi noi sportivi potevamo evocarli, cioè richiamarli e fissarli a voce, ma lui aveva il compito di realizzarli, cioè tradurli in realtà e in fatti. Pur dicendo ancora che non gli accordavo fiducia, ho voluto che ci stringessimo la mano, compiendo quel gesto che nel campo della fiera dove abito sanciva il compimento di un affare e valeva più di un atto notarile, e che sarebbe stato spergiuro rinnegare qualora uno dei due contraenti non avesse mantenuto l’impegno: consegnare la vacca se l’aveva venduta, consegnare il denaro se l’aveva comprata. Fino a quando non vedrò fatti concreti non concederò più fiducia a nessuno, e nemmeno a lui, anche per l’altra questione, l’abbattimento della tribuna del vecchio comunale, che lui si è impegnato a parole a non fare, ma che è ancora scritto e previsto nel progetto più recente che mi è capitato di vedere. Dare denaro vedere cammello. Ecco, prima di far vedere il cammello (della mia fiducia) voglio vedere il denaro. Faccio come San Tommaso, prima voglio vedere per credere. Per i cristiani credere è un dono. Io non ho avuto questo dono. Da filosofo cartesiano dubito… Perciò non credo alle promesse e ne dubito. Credo solo nei fatti visibili e dimostrati, ma questo non significa credere. Significa essere certi. E la certezza cartesiana si basa sulla chiarezza e sull’evidenza, altrimenti è credenza, cioè credulità. Diceva Kierkegaard che la fede è un salto nel buio. Ecco, appunto, a me non mi va di saltare. Non solo non mi va, non posso… perciò non salto. Festeggerò solo quando vedrò lo stadio, che è un tempio, “liberato” dai mercanti, come dicono i tifosi, e tornato nella disponibilità della città e dei cittadini.

Elso Simone Serpentini