Da qualche tempo circolano sulla rete, soprattutto Facebook, foto e video che mostrano il corso di Teramo desolatamente vuoto, spettrale, senza nemmeno l’ombra di un passante. Non oso pensare come sia la vita e come le aspettative dei commercianti, che aspettano improbabili clienti dentro i loro negozi. Non lo penso, ma percepisco la loro sofferenza. È quella per la quale, ritenendola per me insopportabile, non avrei mai fatto il commerciante: non avrei potuto e saputo sopportare l’attesa di clienti, spiando il loro eventuale arrivo sulla porta della mia bottega, chiedendomi se davvero l’uomo o la donna in avvicinamento avessero l’intenzione di entrare o magari illudendomi che lo facessero, salvo a vederli deviare all’ultimo momento e non entrare, dopo aver dato uno sguardo distratto alla mia vetrina. Come autore non chiedo mai al mio editore quanti libri miei ha venduto e la mia indifferenza al riguardo sfiora la patologia. Perciò, dopo aver pensato con pena alla sorte dei commercianti teramani lungo un corso desertificato, prevale in me la curiosità di sociologo, e mi chiedo quali possano essere le cause del fenomeno. Da cittadino, ricordo quando il corso principale della nostra città, quanto meno “quello di sopra”, era affollato in ogni ora della giornata e non soltanto nelle feste comandate. Ricordo un corso animato da una umanità gioiosa, di uomini e donne, di giovani ed anziani, ricordo la vivacità degli scambi umani, il passeggio serale, i gruppi che si componevano e si scomponevano in base alla comunione di interessi e di argomenti di conversazione. Mi dicono, e le fotografia e i video me lo mostrano, che tutto questo non c’è più. Lo so perché me lo dicono e perché lo vedo nelle foto. Non di persona, perché io faccio parte di coloro che per il corso non passeggiano più. Ma non per scelta. Se potessi, continuerei a fare “vasche” con i miei amici, ormai pochi, perché quelli con i quali le facevo non ci sono più o sono a casa allettati. L’età ha avuto il sopravvento e nel mio caso anche ragioni familiari e personali di salute, così mi è impossibile tenere alto il numero delle mie frequentazioni del corso e quelle poche di cui ancora godo sono rivelatrici del deserto di cui sento parlare.
Sento dire che anche in altre città il fenomeno della desertificazione dei centri storici è presente e notevole. Non so le cause che l’hanno determinato siano le stesse di Teramo, ma da cittadino teramano non posso non chiedermi quali siano le ragioni specifiche, oltre quelle generiche, e mi chiedo per quale motivo un teramano dovrebbe oggi, nell’anno di grazia 2023 quasi 2024, frequentare il corso, la “calle mayor”, come dicevano gli spagnoli nell’indicarla come la più frequentata di ogni città di provincia. Le risposte che mi vengo dando riguardano tutte l’interesse che si avrebbe nel farlo. Quale interesse dovrebbe spingere un teramano a passare per il corso? Il passeggio? Incontrare amici? Conversare con loro? Gli anziani come me o non possono o non hanno più amici, i giovani digitali non lo fanno più. Gli acquirenti per i loro acquisti attendono l’arrivo dei corrieri di Amazon o vanno nei centri commerciali, le botteghe artigianali non ci sono più, i negozi vanno e vengono e i titolari sono depressi, i residenti in quei palazzi non ci sono più, essendo solo proprietari di vani non più di civile abitazione ma uffici, frequentati solo di mattina o di primo pomeriggio. Sono molto frequentati i dehors, dove si sta seduti, si mangia e si beve e ci si scambia l’uno con l’altro la propria solitudine. Il centro storico è costituito solo da quel centinaio di metri del corso di sopra, essendo diventati periferia anche il corso di mezzo e ancor più quello di sotto, piazza Dante e piazza Sant’Agostino. Le periferie vere, quelle che un tempo lo erano, sono diventate delle piccole cittadine dove si vive e si dorme o si lavora, centri abitati che hanno una vita indipendente, senza raccordo con il centro storico del capoluogo. Oggi abitiamo Teramo in modo diverso e chi ha fatto le scelte urbanistiche nel passato recente e lontano ha disegnato un modo di vivere la città troppo diverso dal passato. Così sorge la domanda sul perché frequentare il centro storico di Teramo non riesce a trovare alcuna risposta sensata. Non per necessità, non per diporto, non per passeggio, non per acquisti, non per vocazione, non per amore, non per incontri. D’altro canto, nell’eterno dilemma tra andare in centro con l’auto o senza auto, in una città come Teramo dove il problema più importante, come nella Palermo di Johnny Stecchino, è il traffico, anzi il parcheggio non a pagamento, una città in cui un tempo gli automobilisti per parcheggiare non a pagamento vagavano per ore e oggi, se disposti a pagare, devono accendere un mutuo per l’alto costo orario dei parcheggi, in una città come Teramo, dove le scelte più importanti sono state determinate dal dio Automobile e dove percorrere a piedi duecento metri fa troppa fatica, quanta attrazione volete che eserciti andare in su e in giù per il corso senza fare niente cento volte? Ricordo che quando il corso era frequentato si svuotava all’improvviso in cinque minuti all’ora di cena. Di colpo sparivano tutti e non vedevi più nessuno in giro. Molti ricomparivano dopo cena e il passeggio ricominciava. Oggi sono spariti tutti per sempre e non si vede più nessuno né prima né durante né dopo la cena. Tante volte, periodicamente, la stampa teramana, si è chiesta nel tempo se Teramo fosse “una città morta”. Oggi nemmeno se lo chiede più, perché non c’è bisogno di porsi una domanda quando si sa già, con certezza, la risposta.
Elso Simone Serpentini