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HytreOgni Poesia rappresenta un fatto formale di per sé, anche solo perché è messa per iscritto. Lottusa pedanteria formalista, che è lesatto contrario di realista, può riportarci solo alla candela, vale a dire a una regressione patologica della parola scritta che negherebbe levoluzione naturale della lingua, del linguaggio, processo che la davvero grande letteratura non può non registrare. Un giorno ascoltai dire, da uno di questi giovani poeti vecchi come il cucco, che noi italiani parliamo in endecasillabi: ecco, di fronte a certe affermazioni, davvero poco sorvegliate, chiediamoci sempre: Ma questi dovè che vivono?

Larte e la vita sono la medesima cosa, non mi stancherò mai di ripeterlo.

Ma torniamo alla forma del testo scritto, per come è scritto: è qui che il critico agisce traendone informazioni utili a intuirne i motivi della ricerca che ha portato lautore allelaborazione di quel dato componimento per restituire una sua personale interpretazione. E, nel caso, denunciando il compitino di maniera o decorativo, il fare estetizzante dellesteta per lEstetica e non per la più fedele rappresentazione di un fatto concreto che deve rappresentare ogni buona poesia. Non è la metrica che fa la poesia ma la ricerca che ha portato il suo autore a scriverla. Il critico sa che non esiste né seminario né sacerdozio del poeta, e che solo nella Vita può esistere lincontro concreto con la Poesia;incontro che non è certo cerebrale, tutto di testa.

La differenza tra un qualsiasi testo scritto e una poesia sta solo nel ritmo che il secondo riesce a produrre durante la lettura a voce (la voce è uno strumento musicale, Lo Strumento per eccellenza), unico obbligo che lelaborato in versi non può eludere qualsiasi metrica (dettatura) voglia esprimere, che non è detto debba essere riconoscibile in quelle già registrate in tradizione per essere considerato poesia – anzi, è proprio auspicabile per il critico (che è sempre un ricercatore) volgere lo sguardo al nuovo in altre forme concretato e non al risaputo, al bolo già rimasticato infinite volte: e questo è bene tenerlo sempre a mente. Il critico non teme né rischio né spavento. E rischiare deve ogni artista che sia tale. Solo nella scomodità di un errore si cresce: è lì che nasce ogni autentica ricerca, tra stretti anfratti e rocce taglienti come lane di rasoio.

Quindi quello che va a definire il critico con il suo intervento è la partitura ritmico-metrica, vale a dire la struttura musicale del componimento: le parole in poesia sono sempre, da sempre, pezzi giustapposti di suoni armonici o, perché no, disarmonici. Per verificare tutto ciò cè solo uno strumento possibile, da sempre: la lettura a voce, e che sia diretta perché il testo in versi non è mai da mandare scolasticamente a memoria: la cantilena non è poetica.Ogni parola scritta conserva in sé il suo proprio composito tono, che è suono, che è musica, che si riproduce solo con la lettura a voce attraverso il circuito significante (suono) e significato (segno), sebene indirizzati verso il senso.

Qui oggi, poggiato sul povero tavolino, cè una già storica antologia (Il pensiero dominante, titolo invero assai infelice perché il poeta lunica cosa che non deve mai fare, nella speranza di mettersi in ascolto della Poesia per poi cercare di acchiapparla con gli acquisti strumenti della conoscenza, che non può certo essere lapparato scherano dellavvilita intelligenzafortiniana –aver fatto una buona scuola elementare invece aiuta non poco, anzi è fondamentale –, è proprio quella di pensare: pensiero che ha rovinato non pochi libri di poesia) della Garzanti pubblicata nel 2001, pescata molti anni fa da una bancarella, che prova a trarre una analisi sintetica della poesia italiana di un trentennio, 1970-2000, un lavoro serio curato da Franco Loi e Davide Rondoni, che con scienza e coscienza racchiudono tutto in 442 pagine, frontespizio pagine bianche apparati critici e indici compresi.

I curatori in una breve nota precisano: Il lavoro di ricerca e di selezione richiesto per questa antologia è stato lungo e anche difettoso, lungo e difettoso. Questa nota è necessaria perché i curatori sanno, evidentemente, che ogni pubblicazione contribuisce alla identificazione di un canone letterario, vale a direun modo di scrivere che con il tempo diverrà scuola e tradizione, soprattutto quandol’opera vuole essere antologica.

Un critico che non pratichi solo per hobby la domenica che annoia, sa che ogni autore che sia tale è inevitabilmente tutto quello che lo ha preceduto e sorpassato, senza bisogno di starlo tanto a dire e a precisare perché il critico-ricercatore è il nuovo che tenta di dire; e sa che se una poesia manca di ritmo, fossanche scritta in endecasillabi piani dentro un sonetto perfetto (come Petrarca, per intenderci, lunico che non è mai inciampato nella metrica di tradizione, che del resto ha perfezionato lui stesso; ma dopo Petrarca è successo molto altro, persino in Italia), è sempre prosa; e sa anche che è un esercizio tanto scolastico quanto inutile sforzarsi di mandarlo a capo questo testo che vorrebbe essere una poesia se poi mancasse di ritmo: lo spiccio cronachistico, anche se ordinato sulla verticale ascendente che sempre tenta una poesia, è solo diarismofinanco giornalismo.

La critica non è una attività da hobbisti, come dimostrano le ultime ridicole, insulse, solo pesanti antologie pacco famigliapubblicate negli ultimi mesi da il Saggiatore e da Crocetti-Feltrinelli, che come dato scientifico di partenza dimostrano di avere solo il ricorso ossessivo e dozzinale alla rubrica telefonica dei maldestri curatori, gli hobbisti, istitutori di purtroppo mai estinte sette dei poeti estinti, cultori e raccoglitori schiavi della lana ombelicale. Roba buona solo per i fessi, di spirito e di mente.

Leditoria italiana da qualche anno per racimolare qualche spiccio alla carità dei pochi lettori italiani di poesia, si è ridotta a pescare nel marcio lago della rete, cercando di intercettare chi raccoglie più amichetti strambi nella triste cameretta.

Finalmente siamo giunti a lAnno Zero della sempre sopravvalutata editoria italiana: da questo sprofondo, grazie a Dio (questo sprofondo), si può solo risalire.

MASSIMO RIDOLFI