Con Vitaliano Trevisan (1960-2022, nella foto) ho fatto appena in tempo a litigare per via di alcune castronerie che andava scrivendo a proposito di Ernest Hemingway, dimostrando di non avere alcun talento critico, vale a dire capacità di analisi di un testo e della sua contestualizzazione filologica. Avrei voluto invitalo a casa mia per "spaccagli" quella testa matta sull'opera di Hemingway, ma non ho fatto in tempo.
Una sera ospite in un piccolo teatro di provincia e invitato al buffet del dopo spettacolo, un uomo di teatro mi mostrò una drammaturgia che stava leggendo e che voleva mettere in scena. Era un testo di Trevisan. Presi quel libretto, ne scorsi un paio di paginette e dissi all'uomo di teatro che quella che stava leggendo non era affatto una scrittura drammaturgica, che la drammaturgia di quel testo era ancora tutta da fare, se si volesse portare in scena quello che era solo un racconto monologante sifatto e spacciato per testo drammaturgico - nota a margine: ovviamente in Italia Trevisan è considerato un drammaturgo, anche, anche a non averne scritta formalmente neanche una di drammaturgia, e pure premiatissimo.
Il "mito operaista" è banale quanto insufficiente: il grande scrittore è colui del quale nei testi la biografia c'è ma non traspare.
La Letteratura non è fatta di fatterelli propri. Mai! La Letteratura è un'arte; e l'arte è, prima di tutto, fantasia e superamento critico del dato reale. L'Arte non riguarda il fatto ma la crisi: deve produrre crisi del dato reale. Sta tutta qui la sua portanza politica.
Il diarismo ossessivo narcisista, invece, non è mai arte! Potrebbe interessare la psichiatria, mai il letterato. La critica in questo paese è morta. Sta peggio della classe operaia. E rischiano entrambe di perdersi il Paradiso.
MASSIMO RIDOLFI