C’era una volta… un mercato all’ingrosso. Or non c’è più. Prima del mercato all’ingrosso c’era uno spiazzo dove da ragazzo giocavo a calcio, in porta, e la porta era costituita dal tronco di due alberi. Poco più di un centinaio di metri, di fronte, c’erano altri due tronchi di albero. Così le due porte, senza traversa – quella era ideale, immaginaria – davano al campetto la forma di un campo di calcio, sia pure ridotto. Quante partite su quel campetto, quanti tuffi sulle pietre per parare il pallone ed evitare che superasse la linea, anche quella ideale e immaginaria, che univa i due tronchi d’albero. Qui prima di me si erano rivelati calciatori veri come Guido Vallone, qui, dopo di me, si riveleranno altri calciatori veri, come Aldo Palantrani. Qui un giorno arrivarono le ruspe e poi degli operai e dei saldatori, il campetto di calcio sparì e al suo posto sorse il mercato all’ingrosso. Nella mia stanza, la mattina assai presto, giungevano le voci stridule dei venditori all’ingrosso di frutta e verdura e dei loro compratori, i titolari dei vari esercizi della città, i dettaglianti, che, dopo aver comprato la loro merce, la rivendevano ai loro clienti. Il mercato all’ingrosso restò a lungo, poi un bel giorno – anzi un brutto giorno – per cause imprecisate, il mercato all’ingrosso prese fuoco e alte si levarono le fiamme rosse e i fumi scuri dell’incendio, più che in un girone dell’inferno. Dopo il lavoro dei vigili del fuoco, che spensero le fiamme e dissolsero i fumi, parte della struttura metallica rimase infissa al suolo levando all’aria alcuni suoi elementi come fossero braccia di una bestia che si lamentasse per il dolore e per le ferite. Quella parte rimase a lungo annerita prima di essere rimossa, e il mercato continuò a svolgersi nella parte restante, più ridotta, ma funzionale. Poi arrivò il giorno che qualcuno decise che il mercato all’ingrosso di frutta e verdura dovesse essere soppresso e lo fu. Ma rimase la struttura, ogni giorno più decadente, in un degrado crescente. Poi arrivò un altro giorno in cui anche le strutture rimaste, arrugginite, furono smantellate e ai residenti del quartiere non parve vero che lo spiazzo che ne fu ricavato potesse essere adibito a qualche cosa di utile. Perché non un parcheggio? C’era chi proponeva per lo spiazzo i più impertinenti e fantasiosi insediamenti, e lo erano tanto che si capiva bene che non sarebbero stati realizzati. Poi vinse la competizione l’idea di un parcheggio. Un bel parcheggio. L’area era di proprietà dell’Istituto Zooprofilattico, ma il Comune realizzò e annunciò un grandioso progetto di riqualificazione dell’intero quartiere, e il progetto sembrava proporre proprio l‘utilizzo di quell’area come parcheggio. Tanto più che gli addetti dell’Istituto Zooprofilattico, che nel frattempo aveva allargato il proprio insediamento fino ad occupare anche l’ex Mattatoio Comunale, crescevano ogni giorno di numero, per il grande prestigio, anche internazionale acquisito. Oltre agli addetti, di sempre maggior numero, c’erano poi i visitatori, più o meno abituali, sì che crebbe a dismisura anche la necessità di posti di parcheggio, a mano a mano che diminuiva la disponibilità di aree libere. Noi residenti dovemmo adattarci a sopportare che le auto venissero parcheggiate ovunque e dovunque, e comunque, anche davanti alle porte delle proprie abitazioni, in seconda fila, davanti ai passi carrabili, sui cigli delle strade. Meno che in quello spiazzo, che continuò a restare chiuso, vuoto. Enorme, ma vuoto, chiuso con un cancello. E tutti a chiedersi come mai, con tanta necessità di parcheggi, non si mettesse a diposizione delle esigenze di quanti a qualsiasi titolo avessero bisogno di parcheggiare, quasi tutti per tutto il giorno, quello spiazzo libero. Poi un giorno arrivò un annuncio: finalmente lo spiazzo sarebbe diventato un parcheggio. E lo diventò un parcheggio. Oggi lo è un parcheggio. Ma… c’è un ma. Un parcheggio a pagamento. A pagamento agevolato. Parcheggiare in quello spiazzo per tutta la giornata costa due euro. Poco? Molto? Per gli addetti dell’Istituto Zooprofilattico la spesa mensile sarebbe 2 x 20 giorni lavorativi = 40 euro. Poco? Molto? Molto. Deve essere così. Anzi, non molto… troppo. Deve essere così, perché in quello spiazzo non ci parcheggia nessuno o quasi. Le auto continuano ad essere parcheggiate per tutto il giorno per le strade, sui cigli delle strade, in doppia fila, davanti alle porte delle case, davanti ai passi carrabili, davanti ai garages. Tutto il quartiere trabocca di auto parcheggiate e l’enorme spiazzo, ex campo di calcio, ex mercato all’ingrosso, è vuoto, desolatamente vuoto. Due euro per tutto il giorno, in una città in cui ormai tutti posti parcheggio sono blu, a pagamento, e costano quasi due euro l’ora. In una città in cui gli automobilisti pur di non pagare il parcheggio sarebbero disposti a farsi sparare chiodi sui piedi e capaci di girare in auto delle ore cercando di trovare un parcheggio bianco, gratuito, anche ora che parcheggi bianchi e gratuiti non ce ne sono più. Due euro per tutta la giornata in uno spiazzo in una città in cui per parcheggiare si spendono quasi due euro l’ora, perché l’amministrazione comunale ha voluto così punire (per correggerli?) chi pur di non pagare un parcheggio sarebbe capace di commettere un omicidio. Molto? Troppo? Due euro l’ora? Due euro per tutta la giornata? C’è chi vuol parcheggiare e non vuole pagare nemmeno un’ora. Per questo preferisce parcheggiare davanti ad un garage, davanti ad un passo carrabile, davanti alla porta di una casa, in doppia fila. Meno male che è per il momento impossibile – non avendo le auto le ali – parcheggiare un’automobile sopra l’altra.