Sicuramente non c’è azione più nobile di quella di una comunità, di un popolo direi, che si riunisce in ricordo del proprio poeta. Che poi è concreta azione politica, vale a dire avere una idea di società e praticarla, ponendosi a canto al poeta appunto; ed è stato un atto, quello di stamattina in piazzetta del sole, col disvelamento di una lapide, che ha unito tutta la città di Teramo, senza distinzioni, facendosi nell’occasione unico corpo sociale, Sociětas. Del poeta deve interessare all’uomo le fragilità, che rappresentano tutto ciò che accomuna uomo a uomo, che il poeta riduce, visualizza, descrive e pubblica dentro quel suo proprio manufatto che chiamiamo poesia. Sì, Alfonso Sardella, nato in una terra di pari poeti, è il Nostropoeta più grande – ma su questo punto tornerò più avanti.
La Poesia, con buona pace dell’“Accademia”, è un’arte popolare perché il poeta autentico è dal popolo che prende la voce e questa voce ricanta. La Poesia è certamente l’accadimento più vicino al miracolo che possa avvenire tra le mani di un uomo. Ma non basta dire questo. Sarebbe semplicistico. Quando si affronta, soprattutto da lettori, la Poesia, si ha come la sensazione che oltre non ci sia più nulla, che sia il grado di ascolto più alto possibile all’uomo.
Il poeta è sempre testimonio del suo tempo, che osserva, registra, denuncia, testimonia e conserva. È occhio e orecchio attenti il poeta. E pone il suo sguardo dove altri lo eludono, o ne sono inavvertiti.
Alfonso Sardella era, è un grande poeta perché sapeva fare questo, cioè, partendo dal dato biografico, duro, difficile, guardarela sua Teramo mondo, e con la sua lingua madre ci ridiceva del suo sguardo e del suo orecchio, sublimando il dato culturale – cultura è tutto ciò che ci accade intorno – fino a portarlo allo stato dell’arte: è arte solo quello che dal dato esistenziale si traduce in un linguaggio universale, vale a dire trasmettibile anche a chi non c’era dentro quell’accadimento che ha colto l’orecchio e lo sguardo del poeta.
Basti, per provare criticamente quanto detto, riproporre solo l’incipit del suo capolavoro, Vincenzeluvetràte, componimento con una forte matrice drammaturgica che ci comprende tutti edove è chiaro il guizzo del poeta autentico, testo che contiene anche una dichiarazione di poetica, che parte, sia chiaro, dalla scelta della lingua, il dialetto teramano; e i poeti dialettali, si sappia, sono sempre quelli Maggiori, i meglio dettati da Poesia – e qui non si può non tornare all’italodialetto di Dante – , perché ipiù vicini alla Natura del linguaggio, alla sua funzione primaria del dire. E per ridire, il suo popolo, l’Amore per questo suo poeta, non poteva che scegliere Piazzetta del Sole, luogo memorabile dell’autore teramano, dove alberga il proprioGenius Loci, eterno.
Caro papà,
passando l’altra sera in Via Nazario Sauro…
Ma mo’ che stinghe a ffa’? ‘Nn’è mìje che ceparlâme
‘n dialatteterramane, ccuscìpu’ capi’bbone
‘na cose che da tembeme porte qua lucore.
Dunque, l’addrasâre, te so’ cercate tande
pe’ ditte ddo parole, ma prùbbje ‘n cunfedenze,
ma la bbuttàcheormaje tu ggià l’avìje chiuse
anné la bececlattedell’annetrendasette
staveappujìte ‘mbacce a lumure de rembette.
Allorepiane piane, ‘nuggire me so’ fatte
de tutte li candine che sta’ llà li ruette.
È una azione di grande civiltà quando il popolo riconosce il proprio poeta, che laurea, che porta in trionfo, perché si può girare il mondo, persino sulla Luna si può arrivare, come alcuni stolti tra qualche decennio arriveranno su Marte, ma ovunque si è diretti, sempre dalla porta di casa bisogna che usciamo, per questo è necessario che nelle nostre scuole, prima di tutti, si inizi a scoprire Poesia partendo da Alfonso Sardella, perché ci riguarda, perché sicuramente ci appartiene più di chiunque altro poeta.
MASSIMO RIDOLFI