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«E sopra il bosco quando fa sera

s'alza una luna di rame;

perché mai così poca musica,

perché mai un tale silenzio?»

OSIP MANDEL'STAM (1891-1938)



Dell'assassinio lento di Aleksej Naval'nyj non è responsabile Vladimir Putin ma il popolo russo. Questo bue mansueto che, con l'anello al naso, si è fatto portare ovunque nella Storia, prima dagli zar, poi da Stalin e, negli ultimi vent'anni, da Vladimir Putin. Ma questo ennesimo atto criminale del tiranno di Pietroburgo prova solo la sua debolezza e imminente caduta.

Naval'nyj era rinchiuso in Siberia, proprio dove il popolo russo, durante il secolo scorso, portava a morire di stenti i sui più grandi poeti.  Naval'nyj da lì dove lo hanno assassinato non poteva più nulla se non la morte, ma l'idea di libertà che conservava ancora indomita dentro di sé, era un veleno assai più pericoloso di quello che il mansueto popolo russo ha permesso si iniettasse dentro il suo corpo, il corpo di un uomo coraggioso, tornato nella sua terra per liberarla e da questa stessa terra assassinato, lentamente.


Naval'nyj avrebbe potuto, come tanti ricchi dissidenti russi, scegliere un esilio dorato, negli Stati Uniti, ad esempio, dove avrebbe goduto di una infallibile protezione, ma non lo ha fatto perché in lui, il suo cuore indomito, pompava il sangue degli eroi.
È da eroi opporsi al bue mansueto, e al suo anello al naso; è un atto eroico perché offre certe solo due alternative: morire lentamente avvelenato oppure ammazzato d'un colpo a martellate in testa dal primo ceceno che passasse per strada, una qualsiasi strada di Mosca o Pietroburgo.

È in Siberia che fu mandato a morire dal mansueto popolo russo anche Osip Mandel'stam, colpevole di scrivere poesie vere. Ed era così vero Osip da scrivere: «Viviamo senza sentire sotto di noi il paese / a dieci passi le nostre voci sono già belle e sperse / e dovunque ci sia spazio per quattro chiacchiere / si dà una mezza conversazioncina / là ti ricordano il montanaro del Cremlino / le sue tozze dita come vermi grassi», denunciando così la tirannia della Russia di Stalin, dove morì tradita la Rivoluzione d'ottobre, garantendosi una morte atroce; e, oggi, imperituro, continua il suo canto nella Russia di Putin.

I poeti sono i nemici che più teme il tiranno perché non possono non dire quello che vedono: in Russia, oggi, non ci sono più poeti perché nessuno scrive di Vladimir Putin.
Fanno versi comodi, senza rischio, da salotto pietroburghese, pura lana ombelicale, la poesia per la poesia, la parola per la parola innamorata, perché prima di scrivere si preoccupano di non offendere, di non turbare i rigidi limiti imposti dal potere del tiranno.

Oggi non ci sono più poeti da mandare a morire in Siberia.
Oggi i più grandi poeti russi sono giornalisti e attivisti. Il più grande poeta russo, oggi, è Aleksej Naval'nyj, perché, come Osip Mandel'stam nel 1933, ha posto il suo corpo a difesa della sua propria libertà contro il popolo russo, questo bue mansueto con l'anello al naso.


E gli intellettuali italiani?

Da noi ci sono scrittori imbelli come Paolo Nori che pur di non parlare di Putin ci raccontano di Dostoevskij inventando in Occidente censure inesistenti per paura di perdere il visto per raggiungere la Russia, finendo per lordare di sangue il visto e la Russia. E questi intellettuali qui, da cabaret, oggi, in Italia, ci meritiamo.

Lyudmila ha chiesto a Creonte il corpo
di suo figlio Aleksej. La vita è un corpo.

Gloria al corpo dell'Eroe; Gloria al cuore
di Aleksej Naval'nyj, poeta delle libertà del cuore.

Che Dio riservi a Vladimir Putin il più ardente
degli inferni – ma, Dio!, che bruci lentamente.




MASSIMO RIDOLFI



Ph.: Aleksej Naval'nyj (1976-2024)