Ecco, lo sapevo.
Un altro incubo.
Anzi, la seconda puntata dell’altro.
Chissà, forse saranno stati i fulmini di questa nottata di pioggia. Mi piace la pioggia, specie di notte, ma i fulmini no, quelli non li ho mai sopportati.
Mi spaventano.
Però, non c’erano fulmini nel mio incubo.
Anzi, era dolce a tratti, tenero a momenti, romantico quasi, ma alla fine era e resta un incubo.
Ve lo racconto, così capirete perché.
E sempre, come se fosse un film.
Roma, esterno notte, luci di Natale, vetrine che pretendono il desiderio degli acquisti, il rincorrersi degli auguri, la frenesia dei regali.
Mancano quattro giorni alla Notte Santa, c’è traffico, la macchina si muove lenta sui sampietrini antichi, ma non è quella dell’altro incubo, questa è un suv, bianco, niente di eccessivo, comodo ma poco appariscente.
Poi si ferma.
La zona mi sembra nota, ma non riesco a focalizzarla.
E’ di certo un posto nel quale sono già stato, ma l’incubo è avaro di dettagli.
La macchina s’è spenta, intanto.
Quando si apre lo sportello, riconosco i protagonisti dell’altro incubo: l’uomo col piglio da manager e la donna col fare della segretaria.
Ma non sono manager e segretaria, o forse non sono solo manager e segretaria, perché lui l’abbraccia e, come direbbe Cyrano, le respira un poco il cuore sulle labbra.
E’ un bacio veloce, ma non per questo meno tenero.
C’è amore, lo sento.
Ah, l’amour… la notte avvolgente della città eterna, il senso festoso del Natale che s’avvicina, la ritrovata adolescenza di due adulti innamorati…
Credevo fosse un hotel, quello davanti al quale si sono fermati, ma poi leggo “boutique” e penso ad un regalo, ma poi vedo un concierge.
Sono confuso.
E la confusione aumenta quando, all’improvviso, nel sogno irrompe Bruno Barbieri, che s’aggira alla ricerca di un topper per la sua camera e chiede cosa si può fare di sera nel ghetto.
Ecco cos’era: il ghetto!
La roma ebraica, quella nella quale Papa Paolo IV recluse il popolo eletto, confinandolo in un ritaglio di Città Eterna.
E’ una Roma meravigliosa, che ha sofferto, e tanto, ma che ha saputo non perdere le proprie tradizioni.
Ecco, perché mi sembrava di conoscere quelle strade: le ho passeggiate con mio padre, da bambino, quando s’andava a pranzo la domenica da Giggetto al Portico d’Ottavia.
I carciofi alla giudia, sono la mia passione.
E non solo la mia, ma anche degli innamorati protagonisti del mio incubo, che passeggiano mano nella mano, verso un altro ristorante kosher.
Un flash, ed è già mattina.
E si rimaterializza l’incubo… è il momento del conto.
Sento l’angoscia salire, sudo, vorrei svegliarmi ma non ci riesco.
So già quello che sta per succedere: sarà una fondazione a pagare il conto di questo tenero quadretto.
Cerco di saperne di più, di sbirciare, di capire, di indagare, ma vedo pochissimo… c’è un logo, uno stemma, ma è confuso, sbiadito, riesco ad intuire che di certo non è quello verde della Fondazione Tercas, assolutamente no… quello che vedo nelle mani del concierge è diverso, più colorato… ma non riesco a vedere di più…
S’è fatto giorno.
Mi sveglio.
Sognerò ancora.
Presto.
ADAMO