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Cucchio
«Ma quèj che fan murìcun la puesia

ligata sü, ciavada, e fan negà

nelliber de la vita… Avemaria!

in no puèta, i no òmm de lüstrà.

Jeciàmen massa e ciaucusì sia.»1

FRANCO LOI (1930-2021)


Fu Attilio Bertolucci a raccomandare Pier Paolo Pasolini a Livio Garzanti; fu Pier Paolo Pasolini a raccomandare Carlo Emilio Gadda a Livio Garzanti; fu Pier Paolo Pasolini a fare vincere il Premio Viareggio  opera prima a Bernardo Bertolucci per la silloge In cerca del mistero (presidente di giuria Giuseppe Ungaretti, che si portava appresso da tempo Leonardo Sinisgalli, e Sinisgallisi portava appresso a lui), che di poesia proprio non si interessava o ne era solo lettore, perché a lui piaceva il cinema, e allora Pasolini se lo portò pure al cinema. E tutto questo cataclisma è successo in Italia tra gli anni 50 e 60, e tanto per portare un esempio delle anime candide che da quasi ottantanni abitano le Patrie LettereQuindi nulla di nuovo sta accadendo sul piccolo fronte della poesia italiana contemporanea. Certo, qualcuno potrebbe obiettare: Ma hai visto o no che nomi? E li ho visti sì, ma il sistema era lo stesso. E chi ci dice che molti altri e di più validi non siano stati scartati ingiustamente dal cosiddetto canone?

E non finisce qui, perché il decadimento della poesia italiana del Secondo novecento avviene a partire da Giovanni Raboni che inventa la poesia da tinello milanese, giustamente preso a parolacce in diretta nazionale da Carmelo Bene durante una storica puntata di Mixer Cultura (link: https://youtu.be/i7KSqtIYGc4?si=SAbAhNk6f2DhxU05): da qui nasce, cresce e guasta tutto, fino a Maurizio Cucchi, che si attacca a Raboni come una cozza agli scogli dellAdriatico pur di arrivare dove conta, cioè in Mondadori. Cucchi merita il presunto ruolo di Maestro di bandaNo, neanche quello nella banda musicale di un paesino dellentroterra appenninico. Cucchi rappresenta il prodotto tipico della botteguccia che è stata in grado di produrre in poesia leditoria italiana, di qualsiasi grandezza. E tale lezioncinaripropone, abbassando ulteriormente la qualità letteraria contemporanea. Lunica cosa che è stato in grado di scrivere produrre e imporre in Italia Cucchi è la noia, e basta leggerlo; e basta leggerli ora alcuni dei suoi delfini spennatiaddirittura neLo Specchio Mondadori (o tra lingrigita bianca Einaudi: salvo dal mucchio inselvatichito solo Alberto Pelegatta e Massimo Dagnino, che subito si sono difattautoscartati in TAUT Editori – mentre Maria Borio è stata pescata a strascico e di frodo dalla scuderia Buffoni, altra tragedia tutta italiana di cui accennerò più avanti, ma può ancora salvarsi dal noioso perché ha talento, vocazione e dedizione), che era la più importante collana dedicata alla poesia italiana contemporanea, voluta da Alberto Mondadori e inaugurata nel 1942 da Poesie di Vincenzo Cardarelli, il primo poeta del Novecento italiano, dimenticato perfino nella dottaAntologia della poesia universale, cioè del tutto fumo e niente arrosto.

E sia detto chiaro e forte: non impone niente nessuno, in nessun campo, tanto meno in poesia, ma certo imperversa il cattivo gusto. La mediocrità di Cucchi come poeta è stata già evidente dagli esordi – e il suo rifare la voce di Raboni e la sua noia uguali. Basti, se proprio non riuscite a non addormentarvi leggendolo, guardare una vecchia puntata di un curioso quanto ridicolo programma di Mamma Rai degli anni Ottanta, Poeti in gara, che lo pone a confronto, povero disgraziato, con un gigante davvero della nostra poesia del Secondo novecento, un poeta vero e mai da tinello, nientepopodimeno che Edoardo Sanguineti (tra il tanto che ha rappresentato e continua a rappresenta, è stato anche lunico che non si è mai prestato ai salottini, né prima né dopo laffermazione letteraria, e tanto meno a farsi allevare da qualcuno e, poi, farsi vacca lui stesso di qualcun altro, non a caso osteggiato dallAccademia, lui, vero, accademico dal vero: ma oggi Sanguineti non lo legge più nessuno, a parte qualche epigono mai richiesto e mai voluto; però, possiamo leggere Cucchi e la sua cucciolata, e le Patrie Lettere subirli) – e lo so, vi starete dicendo: Poverino; no, poveri voi che credete Cucchi sia davvero un poeta. Ma, a proposito di Poeti in gara, torniamo indietro nel tempo, e precisamente al 20 gennaio 1989, quando nella curiosa trasmissione unavvenente presentatrice estrae da un sacchetto porpora la lettera S. Ciò vuol dire che saràproprio Sanguineti a leggere per primo i propri testi. E questo fatto fortunoso – che farà tutta la sfiga di Cucchi perché dire la sua dopo Sanguineti, tra laltro fine dicitore, è davvero una piccola tragedia borghese, tutta consumata nei pochi metri quadrati di un tinello – ci permette a tuttoggi di valutare da soli e senza particolari capacità critiche (un paio di orecchie attaccate ai lati della testa ce le abbiamo tutti, e basta sapere in più che la poesia si misura con lorecchio e si verifica con il corpo, vale a dire che il vibrato delle parole, che è musica, dallorecchio deve trasmettersi in tutto il corpo, altrimenti non è poesia perché non accende e lascia accesso il corpo umano ma laddormenta) chi è poeta e chi non lo è affatto, cioè chi dice laver vissuto dal vero e chi, invece, il non aver mai vissuto dal vero (link: https://youtu.be/7N-DwBzQ0Tw?si=PxFXLuLtFzBojj_r).

Ma che cosè il cosiddetto canone?

Per canonesi intende una tendenza, nel caso di specie letteraria, che si registra in un determinato periodo storico. Ovviamente non è un dato verificabile in tempo reale ma ex post facto, vale a dire dopo almeno venticinque anni dal suo accadimento. E questo significa, facendo un esempio pratico, che quando i nostri figli, magari giunti alla tesi di laurea, si troveranno a scrivere della poesia italiana della prima metà del secolo XXI, avranno da studiare (annoiandosi come capre nel deserto) i cucchisti –come li ha, giustamente, battezzati Gianfranco Lauretano (mentre sbaglia a preoccuparsi della perduta tradizione, ché inevitabilmente resiste e abita ogni autore, anche quelli peggiori, in quanto si è sempre quello che ci ha preceduti e sorpassati, anche se si nasconde in altre forme: la poesia arriva sempre da altra poesia, e a certi amori bisogna arrivare preparati e bisogna avere la pazienza di porre in mezzo il tempo dellesperienza) –, i buffonisti – e qui  continuo io sulla stessa linea da neologismo un po daccatto per identificare quelli spronati al pascolo perdecenni da Franco Buffoni, altra tragedia tutta consumata dentro un tinello milanese, ma che arriva fino a Roma, trascinandosi appresso anche tanta comunità LGBTQ+ per partito preso non certo per chiari meriti letterari, ma si sa, ahimè, che il diverso (lo siamo tutti diversi e simili) che piagnistea la propria diversità è di moda e si vende bene – e altri peracottai dellarea romana, più o meno dei cani sciolti che non fanno per fortuna branco ma solo qualche aperitivo nei fine settimana. Poi cè quellaltra tragedia di scuola milanese di Milo De Angelis, ma, grazie a Dio, questo a malapena riesce a badare al sonno dei versi suoi quindi non ha tempo di fare proseliti. Poi cè il cruciverbista, Valerio Magrelli, che tratta la poesia come si fa con la Settimana Enigmistica e di nullaltro si interessa – e torniamo quindi dalle parti di Roma. E altri casi di uomini che scrivono in versi credendo basti per fare una poesia; vale a dire che basti andare a capo un tanto letto. E tutta questa pochetteria (mi permetto come Lauretano un altro neologismo, ma resta inarrivabile il suo spentoevo – e sì, ci siamo ormai spenti da un pezzo e senza manco la grazia della Morte) ci ammorba e ci rovina (sì, ci rovina il gusto della vera Poesia tanto da non saperla più distinguere) da circa mezzo secolo.

Insomma, arriverà il giorno che i nostri figli troveranno da studiare i testi di questi qui sui libri in bibliografia credendo tali disgraziati dei poeti e non dei buontemponi del pensatissimo e libresco poetese italiano, capitati, non di sa come e non si sa davvero il perché, sullagenda telefonica di qualche bacucco di turno, o del giovane vecchio barbuto capitato per caso a comporre una inutile antologia, che pensa bene di iniziare il suo lavoro partendo dagli amici, aperitivo aperitivo, e il tutto ad alimentare la sempre più florida Fabbrica Italiana di Lana Ombelicale (la F.I.L.O.). Ecco, più che per la tradizione e per la poesia italiana contemporanea, che gode di ottima salute a leggerla bene in salvo dal cosiddetto canone, io mi preoccuperei dei nostri figli, e di quello che andranno a leggere domani, affinché non si stracci loro la bocca dagli sbadigli.

La poesia è unarte ma quando si fa arte per larte, non è nulla, diventa in un attimo nulla; e non è né pensiero né una posizione filosofica la poesia, e tanto meno è una questione editoriale: la poesia è azione, non è certamente quella cosa addormentata che promuove Cucchi & altri da una trentina danni almeno.

Il problema di Cucchi è che davvero crede di essere un poeta, e questo sarebbe per chiunque già un chiaro segno di follia.

Ma il problema più grosso è che ha scientificamente allevato dei poeti che scrivono peggio di lui e che leggono peggio di lui perché scrivono peggio di lui; e il suo metodo è scientifico perché, come tutti i mediocri, Cucchi si guarda bene dal promuovere chi è migliore di lui affinché non gli faccia ombra: la noia, come la nebbia, a Milano e in altri dintorni poetici italiani,regna sovrana e incontrastata.

Ma resta il crimine: Cucchi, senza pena, ha rovinato la più importante collana di poesia contemporanea italiana imbottendola di inutile lana ombelicale.

La Poesia, quella autentica, non è un hobby borghese ma una attività che pratica la vita vera e basta, e non canta certo il provincialismo di gran parte della poesia italiana del Novecento e oltre; e non è certo la vecchiezza che fa il poeta, e tanto meno rende maestri. La Poesia, che lo si capisca bene, è, innanzitutto, un’arte popolare, perché dal popolo intona il canto e lo fa proprio. E il poeta, semmai esistesse, può assumere solo il ruolo dellumile servitore della vigna, che cerca, almeno, di non rovinarne i frutti.

La Poesia non ha bisogno di imporsi per tramite dei presunti maestri. La Poesia è una amante assai volubile, che richiede una assidua frequentazione, che si fa cercare e trovare solo quando ha voglia. La Poesia non ha bisogno neanche dei poeti, veri o presunti tali. La Poesia si salverà da sola, da tutto e, soprattutto, da tutti, saltimbanchi e vati di condominio compresi. E che questo si sappia in giro.

MASSIMO RIDOLFI

1. daPuèta di Franco Loi, in Aria de la memoriaEinaudi,2005: Ma quelli che fanno morire con la poesia / legata dentro, chiusa a chiave, e fanno annegare / nel gran libro della vita… Avemaria! /non sono poeti, non sono uomini da onorare. / Li chiamano massa e ciao, e così sia. – ascolta qui la poesia detta integralmente in dialetto milanese dallo stesso autore: https://youtu.be/IpP3GvTQuGw?si=yMd-yczM-r5PHUPE .

PH. Maurizio Cucchi, GettyImages/Leonardo Cendamo.