Colpevolmente in ritardo, per colpa del jet lag nipponico, solo ieri sera sono riuscito ad andare allo Smeraldo, che ospitava la proiezione di “Roger, arriva il Presidente”, del regista teramano Marco Chiarini.
In realtà, quello con questo film era un appuntamento che rinviavo da tempo, anche se Marco è un mio amico, e mi piace tutto quello che fa, ma il fatto che il film fosse già stato celebrato al festival di Bellaria, con l’ambito premio che va all’innovazione cinematografica, era per me un ostacolo. Non amo i critici e non amo guardare film “premiati” dai critici, perché temo che il loro giudizio possa influenzarmi. Sono amante delle mie opinioni, ma questo sono sicuro che lo sappiate già.
Torniamo al film.
Che non è un film.
È un distillato di realtà provinciale, estratto in un tempo e in un luogo definiti, scanditi e ridefiniti dall’attesa di una visita importante, quella del Presidente della Repubblica.
È il diario minimo di un evento grande.
E siccome la realtà provinciale distillata è quella di Teramo, questo per noi è molto di più e molto altro.
Chiarini sceglie un suo osservatorio particolare, quello di piazza Garibaldi, e ne fa il microcosmo perfetto di un mondo imperfetto.
Nel diario chiariniano, l’attesa dell’arrivo del Presidente è sì il riferimento narrativo costante, ma paradossalmente non è la “storia” del film. Perché questo è un film “periferico”, nel senso di costruito sulle periferie dell’evento e del luogo. Chiarini non racconta piazza Garibaldi, che resta il cardine geografico centrale in perenne movimento, ma racconta gli “angoli” della piazza, il contorno della circonferenza, anche in questo caso regalandoci il diario minimo di una marginalità che, nell’alternarsi dei personaggi, è anche umana e sociale, ma senza mai essere emarginante. Anzi: il racconto chiariniano, che non costruisce ma documenta, è la cronaca fedele del rincorrersi dei giorni della piazza, con le loro litanie, i loro riti, le loro stranezze, i loro personaggi, così diversi e particolari dall’essere, in fondo, semplicemente umani.
La gente di piazza Garibaldi, il popolo di Chiarini, resta identico a sé stesso, mentre l’orizzonte cambia, si fa bello per l’arrivo del Presidente. Felliniani, a modo loro, ma diversissimi dai riminesi che sognavano il passaggio del Rex, i teramani di piazza Garibaldi aspettano sì il Presidente, ma con quella punta di disincantato distacco che è, da sempre, la condivisa forma aprutina di autodifesa. “Fa’ che se ne scorda di venire a Teramo…”, dirà uno dei garibaldeschi, parlando del Presidente.
Se agli occhi di un teramano, la Teramo di Chiarini sembra un trionfo del nulla, in realtà agli occhi di ogni altro “provinciale” questa non è la nostra città, ma la perfetta metafora di una dimensione del vivere che è comune moltissimi italiani, che nella nostra piazza Garibaldi hanno riconosciuto le loro piazze… i loro personaggi.
Tanto che alla fine, l’unico in grado di manifestare segnali di profonda umanità, è Roger.
Un bassotto.
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