Corte interna della Biblioteca Delfico gremita, per la presentazione dell'ultimo nato tra i gioielli della Collezione I love Abruzzo di Giuliano Montaldi, quello dedicato allo stemma teramano "A lo parlare agi mesura".Proprio davanti al calco dello stemma (l'originale è nella vecchia sala consiliare, ma presto potrebbe essere spostato a Casa Urbani, ha annunciato il Sindaco) è stata raccontata la storia che quella pietra testimonia. Alla presenza del Sindaco di Teramo, Gianguido D'Alberto, del magnifivo rettore Dino Mastrocola, dello storico Elso Simone Serpentini, degli antropologi Alessandra Gasparroni ed Ernesto Di Renzo e dell'ambasciatore d'Abruzzo Filippo Flocco, l'eveno è dventato l' occasione ghiotta per raccontare la storia di questa pietra scolpita, ovvero la storia antica, scritta dalla faida che vide, alla fine del Trecento, due fazioni teramane in lotta, quella scolpita nella pietra a monito delle future generazioni.
“A lo parlare agi mesura”, un monito che i teramani dei secoli successivi, cercarono di esorcizzare, ribattezzandola “Lapide delle malelingue”, legandone il significato all’uso accorto di ogni parola, regalando inconsapevolmente ai secoli futuri un messaggio di prudenza verbale che oggi, nell’epoca dei social e degli haters, si veste di nuovi significati.
In realtà, come raccontano gli storici della teramanità, quella lapide, che per secoli si offrì allo sguardo di chi percorreva Porta Romana, nasceva per essere il ricordo di un momento storico drammatico, quello del massacro di tredici esponenti della fazione dei Melatino, in guerra da sempre con quella degli Antonellisti, che avevano chiesto udienza al potente duca di Atri e signore di Teramo, Giosia D’Acquaviva ma, non essendo ricevuti, l’avevano pubblicamente minacciato. Il duca, in realtà, era nel suo palazzo a San Flaviano (oggi Giulianova), a colloquio con la fazione rivale, proprio per cercare di mettere fine alla faida e, avvertito delle minacce, decise di dare un segnale della sua potenza, facendo impiccare tutta la delegazione dei Melatino, per poi costringere la delegazione rivale a tornare in città passando proprio davanti a quei tredici corpi appesi.
Un messaggio che gli Antonellisti compresero benissimo, tanto che fu proprio Carmine, uno dei loro capi, a far scolpire in pietra due teste di uomini di profilo, con le lingue trafitte da un compasso e il motto: "A lo parlare agi mesura", che voleva dire: "Stai attento a parlare". Poi aveva fatto murare quella pietra nella facciata della sua casa, sulla strada fra San Domenico e Porta Romana. Una lapide che forse voleva essere un avvertimento per la fazione rivale, ma che ben presto divenne, nel popolo teramano, un monito universale, l’eterno monumento all’uso attento della parola, all’accortezza del parlare.
Un monito al quale avrebbero fatto eco, secoli dopo, le note di quella “maledette malelingue”, indimenticabile canzone del teramano Ivan Graziani, che cristallizza l’antica pratica provinciale allo “sparlare”, o meglio, al non aver “mesura” ne “lo parlare”.
Grazie all’arte orafa di Giuliano Montaldi, maestro dei metalli preziosi e amante della sua terra, alla quale ha dedicato la splendida collezione “I love Abruzzo”, trasformando in ciondoli, anelli, orecchini e pendenti, le opere d’arte e le ricchezze naturali, ma anche gli oggetti identitari della nostra cultura, dal guerriero di Capestrano al lago di Scanno, dalla presentosa alle ferratelle, quel monito è oggi un gioiello, che è stato ufficialmente presentato alla città e, per chi fosse interessato, è acquistabile nelle gioiellerie Cappelli e Francia di Teramo.