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Artedali

“I cieli aperti” è il nome di un insieme di eventi d’arte pensati come preparazione al Giubileo 2025. L’arte come porta per l’infinito.
Nell’ambito di questa iniziativa viene eccezionalmente esposto a Roma, fino al 23 giugno prossimo, nella Chiesa di San Marcello al Corso Il Cristo di San Giovanni della Croce, detto anche Il Cristo di Port Lligat di Salvador Dalì. Il dipinto, realizzato da Dalì nel 1951, quasi a coronamento del suo percorso artistico e spirituale, è custodito dal 1952 dal Kelvingrove Art Gallery and Museum di Glasgow.
Il dipinto si ammira dentro un ambiente creato ad hoc, appeso a uno sfondo di velluto rosso scuro, così come volle lo stesso Dalì nella prima esposizione del quadro nel 1951 al The Lefevre Gallery a Londra.
Dalì trasse ispirazione dalla piccola reliquia del Cristo crocifisso del santo carmelitano Giovanni della Croce -Juan de la Cruz, da lui realizzata tra il 1572 e il 1577. La prospettiva scelta dal santo è obliqua, fatto inusuale che colpì appunto Dalì, e richiama il momento della morte di Cristo, con le mani lacerate dai chiodi, il peso del corpo che cade in avanti, la testa reclinata in basso.
Il dipinto affascina e tormenta allo stesso modo: Dalì lo presentò con il semplice nome de Il Cristo, all’atto della prima esposizione, poche settimane dopo averlo terminato. Ciò che sconcerta è la inusuale e ardita prospettiva scelta dal pittore per il Crocifisso, “fluttuante nel vuoto oscuro che sovrasta il paesaggio-mondo”.
Il paesaggio rappresentato è quello di Port Lligat, con le rocce di Cap de Creus, nella provincia di Girona. Le acque del mare e del cielo sono di un blu così cupo da contrastare con il buio assoluto che fa da sfondo al crocifisso.
Cristo non ci guarda: non guarda lo spettatore, non osserva gli uomini nell’atto del suo supremo sacrificio. Osserva in basso: la terra che lo ha visto farsi carne e lo vede ora tornare uomo nel momento apicale della morte in croce. Non sappiamo se sia ancora vivo o già morto, ma questo mancato sguardo amplifica, anche in lui stesso, l’incomprensione della propria morte: “Dio mio, perché mi hai abbandonato?”.
La straordinaria intuizione del dipinto è focalizzare l’originale punto di vista del pittore: il medesimo soggetto ritratto infinite volte, raffigurato da una prospettiva totalmente differente dall’iconografia classica, offre uno spettacolo alienato e alienante, diverso e differente, straniante e adrenalinico.
È ancora vivo Gesù? Respira ancora? Ha gli occhi aperti oppure chiusi? E se vede, cosa pensa il Cristo guardando il cielo e il mare sotto ai suoi piedi?
Il punto apicale della vita terrena, il momento dello spirare, è il vertice ineludibile dell’esistenza, l’istante nel quale il film degli anni vissuti si riavvolge a velocità sconosciute e offre bagliori di consapevolezza.
Dalì ci regala l’eternità infinitesimale dell’abbandono dello spirito dal corpo mortale, ci sovrappone fisicamente al crocifisso, ci immedesima col Cristo, ci eleva visivamente e intellettualmente, offrendoci un brivido di vertigine, di grandezza e di mistero.
Le ombre del corpo di Gesù sul legno della croce restituiscono la carnalità dell’esistenza, la pesantezza della materia, l’evidenza dell’esserci, l’ineluttabilità della presenza terrena, la differenza radicale fra la terra e il cielo.
Opera sublime che attraverso la rappresentazione della materia evoca l’irrappresentabilità dell’infinito, che attraverso le luci e le ombre dei colori evoca la trascendenza percepibile dalla mente umana, che attraverso l’intuizione del pittore parla allo spettatore e lo invita a ripensare se stesso e lo spettacolo della natura, che attraverso il silenzio esiziale dà consistenza visiva all’ineffabile.
L’arte è grande e Dalì è il suo profeta.
Dal 13 maggio al 23 giugno, mostra verso il Giubileo
2025, "il Cristo di Dalì a Roma", presso la chiesa di San
Marcello al Corso, con ingresso gratuito.

MARIA CRISTINA MARRONI