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PHOTO-2024-08-31-16-07-28.jpgI furti musicali si chiamano plagi, come quelli letterari. La nota cantante Giovanni Marini, benemerita ricercatrice di canti popolari spacciò per suoi, quindi come canti d’autore, due antichi canti abruzzesi, anonimi, nati chi sa dove e chi sa quando. Tuttavia il primo, “Addìje addìje amore”, lo registrò alla Siae come anonimo, così come doveva essere. Il canto è conosciuto con altri due titoli: “Casche la live” e “Nebbia a la valle”, quest’ultimo usato dalla stessa Marini in alcune sue incisioni con il titolo errato, “Nebbi a la valle”, errore dovuto evidentemente alla scarsa conoscenza del dialetto abruzzese. La stessa causa la portò ad un clamoroso errore nel testo del canto. Si trattava di un canto dell’emigrazione e il testo diceva che, essendo le campagne abbandonate, le olive non venivamo raccolte e cadevano da sé dagli alberi. La Marini, invece di cantare “casche la live e ‘nze coje” (cadono le olive e non si colgono) cantava “casche la live e se coje” (cascano le olive e si raccolgono): un evidente controsenso e una palese contraddizione. In qualche altra occasione la Marini ammise che aveva sentito il canto nella zona di Ortona. Con ogni evidenza, non l’aveva capito bene o non lo ricordava bene, da qui l’errore. Lo inserì nel disco di “Bella ciao”, per i Dischi del Sole e lo eseguì live al Circolo Agorà di Pisa, l’8 novembre 2014. Prima di cantarlo, la Marini ripeté che lo aveva scritto lei, argomentando: “Non avevo canti da cantare, autentici. E non sapevo neanche cosa volesse dire autentici. Così ho detto: scriviamo un paio di canti popolari, tanto, so’ popolo io? E allora?”
Il brano fu poi oggetto di un altro furto, o plagio, come lo si voglia chiamare, insomma di una appropriazione indebita, quando Domenico Modugno chiese ad Enrica Bonaccorti di scrivere un nuovo testo per quella melodia tanto commovente sull’abbandono dei campi, lo musicò e lo fece credere pugliese o siciliano, dandogli un titolo con il quale la canzone ebbe successo: “Amara terra mia”. Non precisò mai che si trattava di un antico canto abruzzese, e nessuno in Abruzzo ne rivendicò la paternità popolare.

La Marini raccontava anche che un giorno aveva incontrato alla Siae Mimmo Modugno, che si era detto dispiaciuto per non aver saputo per tempo che quella canzone l’aveva scritta lei, così, pensandola canzone popolare, l’aveva presa e ci aveva scritto sopra “Amara terra mia”, che era diventata un grande successo.
Un altro brano di cui Giovanna Marini menava il vanto di averla scritta, tacendo che si trattava di un altro brano anonimo della canzone popolare abruzzese, sia pure rievocante altri canti di altre regioni, è “Lu cacciatore Cajetane”, quello in cui si dice che il cacciatore, “andando a spasso con il suo cano”, aveva incontrato (‘ncuntrozze, tipico verbo coniugato secondo i canoni del dialetto teramano) “una coccia di cristiano”. Lo presentò al Festival di Spoleto del 1961 spacciandolo per suo, salvo poi ad ammettere in altra occasione, che lo aveva sentito nella zona di Roccaraso. E questa doveva essere la verità, perché io personalmente ricordo che negli anni ’50, in alcuni campeggi estivi a Pietracamela, intorno al fuoco dei bivacco, noi si cantava “Lu cacciatore Cajetano”, proprio quello che lei diceva di aver scritto qualche anno dopo per presentarlo al Festival di Spoleto del 1961. Anche per questo furto non ci fu nessuna rivendicazione da parte degli abruzzesi. Quando Roppoppò il cantastorie la riprese, aggiungendo il suo “Roppoppò” da cui prese il nome, lo fece in parte, mischiandone alcune strofe ad altre appartenenti ad altri canti dei cantastorie romagnoli, che parlavano di un tale che aveva compiuto una strage familiare di un altro che, tornato dall’America aveva trovato “il letto disfatto” e “furioso matto” aveva ucciso la moglie.

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Altro caso è quello che ha visto coinvolto il gruppo Tequila e Montepulciano, che deve la sua fortuna e il suo grande successo al “Cicirenella Tour” ed Enrico Melozzi. I Tequila hanno rivendicato il copyright del brano e chiesto ed ottenuto la rimozione da You Tube dell’intero concerto della Notte dei Serpenti solo perché da un certo minuto ad un altro compare il brano “Cicerenella”.
Come ho ricostruito in un mio studio approfondito (LEGGI QUI e pure QUI) della celebre filastrocca di origine napoletana, che Giambattista Vico recitava nei primi anni del ‘700 alla più piccola dei suoi otto figli, Teresina, tenendola sulle ginocchia, musicata e nota anche con il titolo “Tarantella di Posillipo”, il celebre canto ha avuto centinaia di versioni regionalizzate, in tutte le province meridionali, lungo l’arco temporale di tre secoli, eseguita da centinaia di interpreti diversi, tra cui perfino la cantante francese Marie Laforet. Nell’inserirla nella seconda edizione della Notte dei Serpenti, il Maestro Enrico Melozzi ha chiesto ai suoi consulenti dialettali (quorum ego) un nuovo testo per la sua “Cicerenella”, da lui sottoposta a nuovo arrangiamento. Nuovo testo, quindi, e nuova armonizzazione del testo di una filastrocca-tarantella popolare napoletana risalente ai primi del Settecento. Questo non ha impedito al gruppo dei Tequila e Montepulciano di rivendicare il copyright ottenendo da You Tube l’eliminazione dell’intera edizione della Notte dei Serpenti perché conteneva in sé “Cicerenella”. Tuttavia occorre precisare che la versione dei Tequila veniva cantata da tempo nelle contrade intorno a Cellino Attanasio da un vecchio, (con le “'ntacche e le 'ntaccarelle” e le altre amenità, che trasformavano l’antica filastrocca in un canto goliardico o in un canto da taverna), esposta a storpiature alquanto oscene e da taverna. Il testo venne raccolto da Vincenzo Cori e da Federico Del Papa, che la cantavano in giro per i borghi e le case e alle feste con il loro gruppo "Eco fra i Torrioni" di Cellino Attanasio, poi la incisero e la inserirono con il titolo “Cicerenella teneva teneva” su un cd con tanto di bollino Siae. Questo nel 2010. Che successe poi?

PHOTO-2024-08-31-16-07-37.jpgI Tequila la ripresero, la cantarono loro, con lo stesso identico testo, lo stesso titolo, le stesse oscenità da taverna e le "storpiature", e, SOPRATTUTTO, fecero la “furbata” di registrarla alla SIAE a loro nome. Con quel brano ottennero un grande successo. Due anni dopo, la stessa verisone venne incisa, comprese le storpiature e le oscenità (le ntacche e le n'taccarelle), da Roppoppò il cantastorie, senza che i Tequila opponessero alcunché. Come detto, Melozzi per la Notte dei Serpenti ha voluto un testo nuovo, e Gabriella Serafini Blasiotti lo ha scritto, incentrandolo sulla figura della donna abruzzese, generosa, sempre pronta ad aprire la sua casa e a prestare la propria opera. Non si capisce, quindi, come i Tequila abbiano potuto chiedere e ottenere la rimozione di un intero concerto perché contenente un brano di cui hanno furbescamente registrato alla SIAE la paternità e il copyright, pur avendo ripreso la versione già registrata in precedenza su cd da "Eco fra i torrioni". La vicenda non finirà qui, perché il Maestro Enrico Melozzi si sta attivando non solo per ripristinare su You Tube l’intero concerto della Notte dei Serpenti 2024, ma, come mi risulta, anche per ottenere un risarcimento, credo non solo morale, per l’accusa di plagio che gli è stata fatta.

Elso Simone Serpentini