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Come ho scritto ieri, non è questo il momento delle recriminazioni, delle ricostruzioni storiche, della ricerca di colpe. La città sta vivendo un dramma estremamente pericoloso per la salute della sua comunità, una salute socio-culturale importante quasi come quella fisica.
L’aspetto positivo di questo dramma (cerco di sforzarmi nel trovare le positività….) è rappresentato dal fatto che – forse per la prima volta negli ultimi trent’anni – c’è stata una sollevazione popolare : non più un pugno di ‘intellettuali’ , di ‘malati della cultura’, di associazioni ‘rompiscatole’, che intervengono su temi civili ritenuti troppo ‘avanzati’ e quindi, come tali, di scarso interesse. No, c’ è stata una sollevazione perché milleduecento famiglie (padri, mamme, nonni, fratelli) hanno avvertito come di colpo la negazione di un diritto sacrosanto , che è quello dello studio, della formazione, della conoscenza. Un diritto materializzato da un nobile edificio che racchiude in sé , rappresentandoli, tutti i valori veri della vita : il conoscere e l’apprendere, il frequentarsi ed il relazionarsi, formarsi, competere, aprirsi agli altri, responsabilizzarsi. Ciò che uno fa, prova, vive, elabora, tra i 14 ed i 20 anni, nasconde in sé i germogli del proprio futuro. Occorrono quindi, a quell’età, luoghi, spazi, ambienti, capaci di suscitare sensazioni positive, di risvegliare interessi e creatività, di stimolare riflessioni e dialoghi. Luoghi che devono avere anche un pizzico di sacralità, perché i luoghi della sapienza sono come luoghi sacri ed hanno bisogno quindi anche di ambienti, spazi , architetture che esprimano e suscitino rispetto e sensazioni. In molti paesi stranieri quella che noi chiamiamo “edilizia scolastica” viene definita con il termine ‘Architettura per la scuola’, come a voler sottolineare l’importanza assegnata alla funzione ed ai fruitori.
Gran parte delle scuole, edifici postali , banche, sedi di istituzioni importanti esistenti in Italia, sono state realizzate durante i primi trent’anni del secolo scorso. Si tratta, quasi sempre, di ‘architettura’ e non di ‘edilizia’ , estremamente curata nelle forme ed attenta alle funzioni.
Quegli edifici vanno curati , protetti ed UTILIZZATI. La stessa attenzione non è riscontrabile in molti edifici moderni, dove l’aspetto immobiliare prevale spesso su quello funzionale ed estetico. Questo scarso riguardo, spesso insensibilità, verso il progetto , nasce dalla committenza e si propaga poi, attraverso leggi e norme, alle imprese ed ai tecnici. L’attenzione è tutta rivolta verso gli affidamenti degli appalti, la scelta delle imprese, i comportamenti dei RUP, ma pochissimi sono i committenti (ovvero Comuni, Province e Regioni) che promuovono concorsi di progettazione per assicurarsi i migliori progetti ed i migliori progettisti; la fase del ‘metaprogetto’, - quella in cui vengono proposti e discussi tutti gli aspetti funzionali, gestionali, in parte anche formali, degli edifici da realizzare – viene scarsamente curata dal committente, che si ritrova spesso proprietario di un immobile disegnato magari da un’archistar ma poco funzionale, proprio perché è mancato il meta-progetto. Questa disattenzione (o insensibilità….) emerge in ogni occasione, soprattutto quelle emergenziali, in cui , dovendo intervenire sempre con urgenza , non c’è tempo e non c’è modo per pensare a ‘meta-progetti’ e quindi alla cura degli aspetti funzionali e delle esigenze delle comunità che saranno chiamate ad utilizzarle. Accade così che quando si prospetta un’ennesima fase di ‘rapido intervento’, non ci si trova mai pronti né con aree disponibili, né con progetti studiati con la dovuta calma. Il committente va all’affannosa ricerca , rapida ed improvvisa, di edifici ‘pronti’ , da realizzare con il minor tempo possibile, da inserire nella prima area disponibile, senza che ci sia un minimo di interrelazione tra Enti e fruitori, tra tecnici e rappresentanti della committenza, tra esigenze diverse che non siano solo quelle economiche.
Tutto questo accade oggi nella nostra città. Non mancano le risorse economiche, come ho già detto ieri, tanto meno le capacità tecniche ed imprenditoriali. Oggi in Abruzzo, ed a Teramo in particolare, abbiamo alcune delle imprese migliori d’Italia nel settore del restauro , nonché tecnici ed associazioni estremamente competenti e preparati. Manca la capacità ideativa, organizzativa, creativa e gestionale; manca la sensibilità, manca la cura della prevenzione, manca una visione del futuro, perché tutti i tempi a disposizione sono concentrati sulla ricerca del consenso, sulla costruzione di percorsi personali che non hanno attinenza con il bene comune e con la funzionalita e la cura dei luighi.
Su questi temi occorre ragionare e soffermarsi quanto prima, perché di edifici pubblici che si trovano nella situazione ‘in bilico’ come il Liceo Delfico , ce ne sono diversi nella nostra città ed abbiamo segnalato da 15 anni la necessità di predisporre piani, studi, progetti di fattibilità e fruibilità, PRIMA che arrivino nuove emergenze. La comunità sembra , per la prima volta, dare importanti segni di coinvolgimento; occorreva il dramma del ‘Liceo Delfico’ per far accorgere molti che abbiamo intere zone del centro storico abbandonate da anni, si pensi agli isolati della circonvallazione (ex psichiatrico) o di Porta Romana (ex ospedaletto) ; di piazzetta del Sole o via dei tribunali, di via Paris o retro Palazzo Giustizia, molti dei quali sono privi di qualunque idea di riutilizzo. Non sto parlando degli edifici colpiti dal sisma (Palazzo Comunale, Ex Braga, Museo archeologico, ecc.) il cui ripristino è certamente tardivo ma non privo di funzioni. Parlo di aree che sono entrate nel panorama della città, ruderi che fanno parte dell’urbanistica cittadina, senza che si avverta l’urgenza sociale ed economica – prima ancora che culturale ed estetica - di una loro RIGENERAZIONE SOSTENIBILE. Continuo ad usare questo termine da anni per far intendere che occorre lavorare non solo sulla ‘rigenerazione urbana’ intesa in termini essenzialmente immobiliari e costruttivi, quanto invece sulle funzioni, sulle persone, sulle capacità di attrarre e sulle possibilità di fare squadra, sulla capacità di innovare e su quella di gestire le innovazioni. Occorre far comprendere - con pazienza e rispetto verso chi ha meno facilità o volontà di cogliere certi aspetti – che se una città ‘decade’, i primi a subirne le conseguenze sono i figli ed i nipoti. Dunque noi, tutti noi, tecnici e non, professionisti e non, amministratori e non, dobbiamo impegnarci nel compito di guardare alla città come alla nostra casa, di curarla, progettarla, gestirla, abbellirla ogni giorno, come fosse la nostra casa, scegliendo i propri rappresentanti tra quelli che possono farlo con più sensibilità e competenza.
Il caso ‘Melchiorre Delfico’ va affrontato ora e subito, in questi termini, con questa filosofia, altrimenti il bellissimo edificio circondato da un nostro rosso della Protezione civile rischia di diventare l’ennesimo luogo dell’abbandono.
Ripeto che abbiamo , in città ed in provincia, alcune tra le più brillanti imprese italiane specializzate nella manutenzione straordinaria e nel restauro , nonché ingegneri strutturisti di alto profilo e competenza. Vengano ‘precettati’ (bonariamente) per svolgere, in consorzio, una valutazione reale del danno e dei provvedimenti da intraprendere; dopodichè in sei-sette mesi svolgano il lavoro richiesto, lavorando giorno e notte se serve (come fanno in tante parti del mondo) ; si affianchi ad essi un comitato di garanti che curi e risponda di tutti gli aspetti burocratici, legali, amministrativi. A fine estate prossima potremo riavere il ‘nostro’ Liceo Classico curato e pronto per riprendere le sue attività. Se prospettiamo questo percorso (certamente non facile, coraggioso, ma come diceva Enstein , “non esistono rimedi semplici per problemi complessi”) a docenti, studenti e loro famiglie, credo si possa ottenere la loro comprensione, la loro pazienza e la loro disponibilità. Andare da essi per prospettare edifici prefabbricati (di fortuna), in aree magari non consone (di fortuna), per realizzare i quali occorrono forse lo stesso tempo e le stesse risorse economiche che per il restauro di cui sopra, ebbene significa voler sfidare la pazienza, la comprensione, la dignità stessa, di tante brave famiglie. Se emergono soluzioni migliori, sempre in termini di rispetto dei valori sociali di cui abbiamo parlato finora - è bene che siano esaminati e valutati rapidamente. Mi associo sin d’ora.
La cosa più importante di tutte mi sembra, ora, la risposta della città; perché se tutto passasse ancora una volta sulla testa delle persone, e chi DEVE parlare, intervenire ed agire, restasse ancora una volta nell’ombra, assente per apatia o per scelta precisa, subendo tranquillamente senza mostrare alcun interesse né per il bene comune né per quello della propria famiglia, defilandosi con decine di scuse dal guardarsi attorno , ebbene allora sarebbe davvero la fine, il declino certo.
Sono fiducioso che non sarà così : per parte mia, e credo di tanti altri, caro soldato “Delfico/Ryan” non lasceremo che tu venga abbandonato e lasciato morire. Te lo prometto.
Franco Esposito