Il “buon senso” era per Benedetto Croce la principale della virtù e ogni uomo ce lo aveva, di natura. Io concordo (una delle poche cose su cui concordo con Croce): ogni uomo ha di natura il “buon senso”, come ha l’ombelico. Ma ritengo pure che, come qualcuno (purtroppo molti), a furia di non chinare la testa in basso e guardarselo si dimenticano di avere l’ombelico, così a furia di non guardarsi dentro si dimentica di avere il buon senso. Che è un po’ come il demone che Socrate diceva di avere dentro di sé e di cui sentiva la vocina che gli diceva “non farle”, quando stava per fare una cosa sbagliata.
Lo Zingarelli definisce il buon senso “la capacità di comportarsi con saggezza e senso della misura, attenendosi a criteri di opportunità generalmente condivisi”, la Treccani lo definisce “capacità natura, istintiva di giudicare rettamente, soprattutto in vista delle necessità pratiche”. Ma io ritengo che non sia necessario (o possibile) ricorrere ad una definizione.
Nemmeno Socrate ne dava una del suo demone, dicendo di non sapere in che cosa consistesse di preciso, sapeva solo che sentiva la sua vocina quando egli stava per fare qualcosa di sbagliato. Gramsci dedicò al buon senso molte riflessioni e, pur negando che fosse naturale e istintivo, ma da storicizzare e relativizzare, non negava che ogni uomo ce l’avesse, sia pure storicizzato e relativizzato e quindi legato ad un tempo, ad uno spazio e ad una determinata società. Il buon senso crociano ha molta attinenza con la legge morale che Kant diceva fosse presente dentro ciascuno di noi, sì che nessuno poteva negare di averla ed era e doveva essere quella la regolatrice di ogni azione pratica. In effetti, se ciascuno di noi si lasciasse guidare dal buon senso il nostro mondo sarebbe migliore.
Il buon senso è al di là di ogni consuetudine, di ogni altra legge, di ogni altra urgenza o necessità.
Basta farsi guidare dal buon senso e la nostra strada da tortuosa diventa dritta. Ma, ripeto, molti, troppi non si affidano al buon senso, dimenticando o volendo dimenticare di averlo.
Così accade che un politico si affidi a collaboratori di cui si fida senza sentire la vocina del buon senso che glieli sconsiglia, o faccia promesse elettorali che sa di non poter mantenere; accade che un amministratore prenda provvedimenti sbagliati senza sentire, neanche lui, la vocina del buon senso che gli dice di non prenderli, che un sindaco affidi la gestione di un bene pubblico ad un gestore senza sentire la vocina del buon senso che gli ricorda i precedenti (non penali, ma comportamentali), di colui al quale affida la gestione del un bene pubblico; accade che il proprietario di una squadra di calcio passi il testimone e la guida della società ad altri senza sentire la vocina del buon senso che lo sconsiglia sulla base dei precedenti (questa volta penali) di coloro nelle cui mani mette la società sportiva; accade che un perito consegni una perizia illogica senza tener conto del buon senso e affidandosi solo ai suoi calcoli e ai suoi rilievi acriticamente considerati; accade che un progettista consegni un progetto senza tener conto del buon senso, affidandosi solo alle formule e ai parametri imparati a scuola.
Accade che un professore o un collegio di docenti bocci un alunno che non è stato mai bocciato, ma che ha studiato un po’ di meno perché gli è morta la madre, e non ascolti la vocina del buon senso che gli dice di non farlo. Accade che un giudice emetta una sentenza giusta nella forma e nel formalismo giuridico, ma inopportuna nella sostanza del diritto, perché non ha ascoltato, nemmeno lui, la voce del buon senso, così come non l’ha sentita o non ne ha tenuto conto un giudice o un collegio giudicante che sequestri una scuola sottraendola a 1.200 studenti, ai loro insegnanti e ai loro presidi, oltre che alla famiglie e ad una intera città, senza tener conto delle drammatiche o tragiche conseguenze, restando anzi del tutto indifferente di fronte ad esse, nella convinzione di dover solo applicare la legge, che poi in realtà non applica, ma interpreta.
E l’interpretazione è sempre soggettiva, anche quando espressa in modo collegiale, in quanto un collegio non è una oggettività (nemmeno forzando il pensiero filosofico gentiliano), ma un insieme non sommabile di soggettività. Il buon senso, così come il demone di Socrate, non suggerisce mai cosa fare, non fa proposte, ti avverte solo che sarebbe opportuno che tu non facessi quella cosa, ti suggerisce di non farla e, se non ascolti la tua vocina, corri il rischio di fare una cosa sbagliata, aberrante, scandalosa, dalle conseguenze incalcolabili e insostenibili, magari anche una mostruosità giuridica, perché nulla c’è che possa partorire mostri quanto il formalismo giuridico. Alla fin fine ha ragione Hegel, il quale sosteneva nel suo impianto di filosofia del diritto che la giustizia è un tavolino a tre gambe: diritto, colpa (reato), pena. Se togli una gamba il tavolino non sta in piedi, e infatti in Italia non sempre la giustizia sta in piedi e, non reggendosi su due sole gambe, crolla, soprattutto se una casta si ritiene intoccabile e insindacabile, così come taluni si ritenevano nelle comunità antiche (il sovrano assoluto e il romano pontefice) e perfino in molte delle società moderne, “dominus legibus solutus”, cioè padrone svincolato dalle leggi e dal loro rispetto, sostanzialmente irresponsabile e ingiudicabile, disobbligato dal rispondere del proprio operato, illimitato nel proprio esercizio. Il buon senso: basta ascoltarlo e si veleggia con una buona bussola morale, intellettuale e anche giuridica. “Cum grano salis” dicevano i romani, anticipando in fondo, e dicendolo in latino, il concetto di buon senso, che non necessariamente si identifica con il senso comune, anzi “assaissimo” se ne distanzia e se ne distingue.
Quanto a me, devo dire che non ho sentito la vocina del buon senso dentro di me quando ho iniziato a fare questa riflessione, né quando ho iniziato a metterla per iscritto né ora che mi accingo a inviarla per la pubblicazione, così come Socrate non sentì il suo demone, come disse ai suoi giudici, che si apprestavano a condannarlo a morte, rivelando che quella mattina era andato tranquillamente in tribunale (luogo nel quale si vantava di non essere mai stato), perché non aveva sentito dentro di sé il suo demone che lo sconsigliava di andare. Per questo si era sentito tranquillo nell’andare in tribunale… anche se stava andando verso la morte.
Il demone non si era fatto sentire, come non si è fatto sentire il mio buon senso.
ELSO SIMONE SERPENTINI