Nasce oggi una nuova rubrica. Di commento e di riflessione, di parole e di idee. La firma una persona conosciutissima in città, che riveste - come l’altro corsivista Amleto - un ruolo importante e strategico e che, proprio perché quel ruolo non divenga un filtro alla lettura dei suoi scritti, ha scelto uno pseudonimo. Benvenuta Dolores Ibàrruri
Il tempo non è variabile indipendente per il valore di una Comunità Cortese lettore, se avrai la pazienza di soffermarti sul mio narrare, vorrei iniziare un percorso di riflessione sulla nostra Comunità, senza ipocrisia. Per poter operare utilmente, mi appare indispensabile individuare insieme le coordinate di un utile ragionare sul nostro “potere e dovere essere Comunità”. Converrai allora come il tempo non possa essere considerata una variabile indipendente rispetto al valore del vivere associato. “Se determino con l’orologio il sopraggiungere di un evento futuro, non intendo il futuro, bensì determino la durata del mio attendere ora fino all’«ora» suddetto. Il tempo al quale un orologio ci consente di accedere è visto come presente” (Martin Heidegger, “Il concetto di tempo”, Adelphi 2024). Ed allora, se è vero che ciascuna Comunità può vivere il presente misurandolo meccanicamente attraverso l’orologio come tempo di attesa, penso che la stessa possa/debba allargare il proprio orizzonte avendo una migliore capacità di visione (“se si tenta di ricavare che cos’è il tempo dal tempo, allora il μέτρον del passato e del futuro è il νῦν”). Il tempo è in verità sostanza delle cose, anzi sostanza universale che esprime l’essere unitario (passato, presente e futuro) della Comunità (“in tal caso il tempo è già interpretato come presente, il passato come non più presente, il futuro come non-ancora-presente: il passato è irrecuperabile, il futuro è indeterminato”). Tradotto, la quotidianità parla da sé e di sé rappresentando il costituto naturale della socialità senza soluzione di continuità. Fuori da metafora, la triste condizione delle mura di un tempio della cultura, quale lo storico edificio del nostro amato Liceo non è che l’espressione costitutiva dell’attuale essere della nostra Comunità senza diritto di cittadinanza né per l’inutile critica né per senili beffe di Buccari, ma con l’obbligo di un colpo d’ala, del silenzio urlante responsabilità, della passione civile per un fattivo contributo, per l’edificazione di una classe dirigente capace, evidentemente oggi mancante.
Buon lavoro, Teramo.
Dolores Ibárruri