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carcerecastrognoSi era presentata in carcere, presso la Casa circondariale di Teramo, per effettuare un colloquio con il convivente lì ristretto. Ma aveva nascosto, nelle parti intime, due micro-telefonini, che non sono sfuggiti al controllo del personale addetto della Polizia Penitenziaria. A dare la notizia è il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria SAPPE.
“Lunedì mattina una donna della zona ha tentato di far entrare due micro cellulari all’interno del carcere in occasione del colloquio con il marito detenuto”, spiega il segretario SAPPE Giuseppe Pallini. “La donna aveva nascosto i telefonini nelle parti intime ma l’escamotage non è passato inosservato ai rigidi controlli da parte del personale. Il SAPPE si congratula con il personale addetto al Servizio “Colloqui“ per la professionalità dimostrata ancora una volta evitando che apparati tecnologici non consentiti entrassero nelle possibilità dei detenuti per farne uso di ulteriori traffici illeciti. La donna è stata denuncia all’autorità giudiziaria ai sensi dell’articolo 391 ter del codice penale”.
“E’ del tutto evidente e palese che il quotidiano rinvenimento di telefoni cellulari in carcere assume un vero e proprio problema di sicurezza nazionale, che non può continuare ad essere trascurato. Schermare tutte le carceri della Nazione, a cominciare da quello di Castrogno, non è più differibile”: questo il commento di Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria. “Pensate che sono stati 3.606 i cellulari sequestrati in totale nel 2023 in tutta Italia: e i boss continuano a impartire ordini all’esterno, a minacciare, ad eludere la detenzione, come ha anche recentemente evidenziato il procuratore di Napoli Nicola Gratteri. Questi numeri dovrebbero preoccupare tutti, non solo noi che rappresentiamo le donne e gli uomini che lavorano nella prima linea delle carceri, e che imporrebbero una immediata presa di posizione da parte degli uffici ministeriali dell’Amministrazione penitenziaria. Non basta sostenere che la gran parte delle nostre carceri è costituita da istituti abbastanza vetusti per i quali la schermatura tecnicamente è molto difficile da far funzionare, per di più rischierebbe di compromettere anche le comunicazioni delle abitazioni circostanti. Regina Coeli, ad esempio, è piazzata nel centro di Roma e le carceri dove questa scrematura funziona, essenzialmente quelle americane, sono piazzate in mezzo al deserto dell’Arizona o dello Utah o del Texas e sono formate da moduli modernissimi che vengono regolati a distanza e lì questa sorta di schermatura è più facile. Ciò detto, però, questo non può e non deve un alibi per non assumere provvedimenti urgenti e non più procrastinabili: bisogna acquistare e predisporre jammer con i quali poter impedire ai telefonini, in possesso illecitamente dei detenuti, di poter ricevere e comunicare».