Il 12 novembre 1974 mio nonno, Alfredo Giovannozzi, lasciava un questo mondo. Aveva 78 anni. A distanza di mezzo secolo, sabato prossimo, gli verrà intestata una via della città. Non sarà una via del centro ma l’unica via di una frazione, Viola, ma quello che conta è che dopo anni, viene riconosciuto il valore di una persona che nella sua vita tanto ha dato e fatto. Era mio nonno, ne porto con orgoglio il nome, un onore e un onere riconosciuto a quel tempo solo al primo nipote maschio. Così era stato per mio zio Oreste che aveva il nome del nonno e via dicendo. Avevo 11 anni quando è morto. Mi fu impedito di vederlo e di partecipare al suo funerale. Visto il legame che c’era tra noi i miei genitori hanno pensato che avrebbe potuto turbarmi. Ma chi è era Alfredo Giovannozzi e, soprattutto, cosa aveva fatto per meritare l’onore di una via cittadina. Nato a Teramo il 28 luglio 1896 da Oreste e Maria Cecilia Cordone, era il primogenito di cinque figli: lui, Edmondo, Erminia, Dina e Alfira. Un anno prima della sua nascita, nel 1895, il padre Oreste aveva fondato una piccola azienda artigianale per la lavorazione del marmo, raccogliendo l’eredità di suo padre Emidio, e che ha portato sempre il suo nome. Alfredo compie gli studi elementari e delle medie ma subito dopo deve dedicarsi all’azienda di famiglia perchè il lavoro era aumentato e servivano altre braccia. L’entrata in guerra dell’Italia il 24 maggio 1915, non lo tocca. Aveva quasi 19 anni e a quel tempo maggiorenni si diventava a 21. Il 4 giugno del 1916, però, arriva la chiamata alle armi e la sua destinazione è la scuola di artiglieria e mitraglieria di Torino. Era un mitragliere.
La disfatta di Caporetto del novembre 1917 segnò la sua entrata nella guerra, quella vera. Il 1 dicembre Alfredo capì cos’era la guerra combattendo sul Piave. Sì, mio nonno è stato uno di coloro celebrati nella “Canzone del Piave”. Ci rimase fino al 25 giugno 1918 dove poi fu mandato sul Monte Grappa, altra battaglia mitica della Grande Guerra. Migliaia di morti ma lui, pur combattendo sempre in prima linea, ce la fece. Chiuse la sua guerra a Vittorio Veneto. A casa, il 15 dicembre 1919 riportò la pelle, decorazioni, gradi e l’onorificenza dell’ordine di Vittorio Veneto. La Grande Guerra (lui la chiamava così) è rimasta sempre nella sua mente. Una esperienza che lo ha segnato fino alla fine. Da piccolo, seduto sulle sue ginocchia, gli chiedevo di raccontarmi della guerra, lo faceva ripetendomi che era la cosa più brutta che potesse esistere e poi mi parlava di Trieste e del generale Cadorna, di Armando Diaz, degli austriaci e dei tedeschi che per lui erano semplicemente “i cattivi”. Tornato a casa si è rimboccato le maniche ed è tornato al suo lavoro. L’azienda si ingrandisce, La “Oreste Giovannozzi & figlio” si espande. Oreste muore e Alfredo ne prende il posto. Si sposa con Anita Giannina Martella e ha tre figli: Oreste, Emidio (mio padre) e Franco. Tutti e tre proseguiranno l’attività tenendo alto sempre l’onore dell’azienda e del padre. Nel 1953 acquista dalla famiglia Pannella il terreno dove sposta l’azienda trasformandola da laboratorio artigianale a industria rendendola leader, a livello nazionale, per la lavorazione del marmo. Darà lavoro a centinaia di famiglie. Il 26 giugno 1955, la Camera di Commercio Industria e Agricoltura di Teramo lo insignisce di benemerenza e medaglia d’oro per meriti lavorativi. Il 2 giugno 1964 il Presidente della Repubblica Antonio Segni gli conferisce l’onorificenza di Cavaliere della Repubblica. Nel 1960, quando a Teramo fu fondata la Cassa di Risparmio della provincia di Teramo, attraverso una fusione di banche locali, lui era tra i promotori dell’iniziativa. Successivamente è stato socio fondatore della Banca Popolare di Teramo creando, per entrambi gli Istituti, le condizioni per il loro sviluppo. Il suo curriculum vitae non può però far capire a pieno chi fosse mio nonno. Era soprattutto una persona buona, per bene, di quelle che aveva una sola parola. Stimato da tutti era un punto di riferimento per tantissime persone. Ma per capire bene chi fosse realmente bisogna andare alla fine. L’azienda aveva edificato le tombe per quasi tutti i teramani e non solo. Le più belle portano la nostra firma. I figli quando aveva ventilato l’ipotesi di costruire una tomba di famiglia mio nonno aveva sempre detto di no. Il perchè tutti lo scoprirono un minuto dopo la morte, leggendo le sue ultime volontà che non potevano non tenere conto dell’esperienza bellica, dei suoi racconti di morti lasciati per terra, calpestati, smembrati e di corpi seppelliti senza un nome e alla bene e meglio. Tutto questo se l’è portato dentro una vita e le sue ultime volontà recitano: “….Il funerale dovrà essere semplice e molto modesto. La mia sepoltura dovrà avvenire nel campo. Sulla mia tomba non voglio che venga posto nessun ricordo, dovrà essere come una tomba abbandonata, senza lumini e fiori”. Come sul Piave, come sul Monte Grappa. Questo era mio nonno.
Alfredo Giovannozzi