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«Quarantacinque anni di violenza su di me, cinquanta su mia madre». E’ una ricostruzione dolorosa, ma precisa, quella che in Corte d’Assise, nel processo che lo vede imputato per l’omicidio del padre, Francesco Di Rocco affida al microfono, rispondendo alle domande del pm Monia Di Marco. Il quarantanovenne parricida, che nell’appartamento all’interno della Stazione ferroviaria, uccise con 92 coltellate il padre, l’ex capostazione 83enne Mario Di Rocco, racconta alla Corte, presieduta da Francesco Ferretti, la sua storia. Che è la storia di una famiglia difficile, di un padre dominante e di un figlio succube. In quelle 92 coltellat (sorprattutto concentrate sul volto) e c’erano anni di rancori soffocati. «Mio padre era ossessivo, pignolo su tutto, tutto doveva essere fatto come diceva lui, nel modo in ciui diceva lui, quando lo diceva lui e se lo diceva lui... se avessi fatto qualcosa di diverso, sarebbe scoppiata la violenza fisica e morale... una volta da bambino cercò di strozzarmi...per una telefonata...». Una vita di vessazioni: «Si arrabbiava su tutto, non voloeva che avessimo rapporti coi parenti... diventava subito violento... un clima assurdo». Francesco poteva uscire di rado, dalle 20 in poi non poteva uscire né parlare con nessuno: «Sceglieva lui chi dovessi vedere, mi imponeva anche come dovessi vestirmi... ».
Un passaggio, poi, è stato particolarmente doloroso: «... non ho lasciato casa per paura e per vergogna...io e mia madre non sapevamo con chi con parlarne.. con ci confidarci... dopo il Covid i rapporti peggiorarono, dopo la morte di mia madre pensavo che allentasse la morsa su di me... invece.. diventò più ossessivo...era insostenbile... non riuscivo a dormire più la notte... ero ridotto ad uno stato larvale... ho vissuto gli ultimi 30 anni agli arresti domiciliari... non potevo uscire, se non con orari rigidi... ci trattava come i treni, lui che era stato capostazione.. mi dava orari... e se sgarravamo era violenza... »
Però, «Gli volevo bene... nonostante tutto... paradossalmente... sarei stato disposto a stargli vicino... ma non era più possibile... volevo dargli una lezione, fargli fare due o tre mesi in ospedale... non ucciderlo»
Prossima udienza il 20 gennaio, per ascoltare i testimoni della difesa.