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PosjuSi fa presto a dire “turismo”, a riempirsi la bocca con belle parole e buoni propositi, a parlare di rilancio delle zone interne, di sviluppo delle potenzialità, di borghi storici e - perché no? - di nuove occasioni di lavoro.
Poi, però, alla prova dei fatti, le parole restano parole, i propositi s’infrangono sulla realtà, il rilancio non rilancia, lo sviluppo non sviluppa, i borghi storici diventano case vecchie e le nuove occasioni di lavoro si perdono in duecento giorni di burocrazia assurdo.
Benvenuti a Castelli, un tempo capitale della ceramica d’arte, patria di artisti che hanno saputo creare capolavori con la terra, l’acqua e il fuoco, ma oggi condannata alle nostalgie del tempo passato, in attesa di una rinascita che sia anche una rivincita.
Ed è esattamente quello che volevano fare, a luglio, i soci della Cooperativa “Castelli d’Abruzzo”, venticinque, forse trenta visionari che hanno deciso di salvare la loro Castelli, liberandola dalle nebbie dell’oblio e riportandola all’attenzione del turismo nazionale e internazionale. Per attirare il turismo, si sa, non bastano le bellezze artistiche e naturali, servono anche generi di conforto, specie in una provincia che vanta una sua straordinaria gastronomia. Ed ecco, allora, che quei visionari, a luglio, partecipano al bando per la gestione del bar - ristorante in piazza, la “Terrazza dei Grue”, di proprietà del Comune e del quale era scaduta la convenzione col precedente gestore. A quella gara partecipano all’ultimo momento, perché non vogliono ostacolare qualche giovane che,  magari, volesse tentare l’avventura. Partecipano all’ultimo momento, tassandosi, perché sanno che ci sarà da investire da subito, visto che il Comune di Castelli- a differenza di quello di Pietracamela, che per il suo ristorante punta sulla gratuità - vuole un affitto da 600 euro al mese. 
La cooperativa di Castelli, ovviamente, si aggiudica la gestione, visto che non ci sono altri partecipanti, ma da allora comincia la farsa. Sono duecento giorni, che il Comune non gli consegna le chiavi. Duecento giorni di mancata apertura, di bar chiuso, di ristorante coi fuochi spenti. Duecento giorni di caffè negati e di pranzi e cene impossibili, nella piazza più importante del borgo.
Duecento giorni di burocrazie a raffica, di lentezze, di giustificazioni e di ritardi. Duecento giorni perduti, ma soprattutto duecento giorni che rischiano di uccidere l’entusiasmo di quei venticinque forse trenta visionari.
Si fa presto a dire “turismo”, a riempirsi la bocca con belle parole e buoni propositi, a parlare di rilancio delle zone interne, di sviluppo delle potenzialità, di borghi storici e - perché no? - di nuove occasioni di lavoro.
Poi arriva la burocrazia e ingoia duecento giorni di occasioni perdute.
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