C’è un momento, quando rientri da un lungo viaggio, in cui la realtà sembra sospesa. Il motore si spegne, le ruote si fermano, ma dentro di te il mondo continua a girare. Il mio ritorno a Villa Petto, dopo quasi due mesi on the road, è stato proprio questo: un confine invisibile tra il dentro e il fuori, tra il qui e l’altrove. Mirco è rientrato a Villa Petto oggi, alle 13,30.
Avevo bisogno di partire. Non per fuggire, ma per cercare. Un bisogno quasi viscerale di silenzio, di natura, di incontri veri. È così che ho deciso di intraprendere un viaggio che avevo nel cuore da tempo: arrivare in Nepal via terra, attraversando i Balcani, la Turchia, l’Iran, il Pakistan, fino a lambire le pendici dell’Himalaya.
Il mio compagno? Il solito, impareggiabile Bravo scrive Mirco Di Filippo rientrato oggi a Villa Petto.
Una Fiat Bravo 1.9 JTD del 2002, color grigio fumo, più vicina per età a un aratro che a un SUV. Ma dentro quel cofano pulsa il cuore di mille viaggi. E questa volta non mi ha deluso.
Attraversare i confini, dentro e fuori
Siamo partiti in due, io e lui, da Villa Petto all’alba. Il primo tratto, fino al confine croato, è stato un saluto all’Europa che conosciamo: autostrade, stazioni di servizio, traffico. Ma già in Serbia qualcosa cambia. Il paesaggio diventa più ruvido, la gente più diffidente ma curiosa. E poi via verso Sofia, Istanbul, Ankara.
Attraversare l’Anatolia in inverno è come vivere in un film. Nevicate improvvise, villaggi sperduti dove ti offrono tè caldo senza nemmeno chiederti da dove vieni. In Iran, la gentilezza delle persone è disarmante. Ho dormito in case di sconosciuti, ho cenato su tappeti persiani, ho parlato ore con chi non conoscevo neppure il nome.
In Pakistan è cominciata l’avventura vera. Strade di terra, traffico caotico, check-point militari. Ma anche sorrisi di bambini scalzi, venditori di chai ad ogni angolo, moschee illuminate come presepi.
Nepal: una lezione di semplicità
L’arrivo in Nepal è stato come entrare in una dimensione parallela. Le strade si stringono, l’aria si fa rarefatta, il tempo rallenta. A Pokhara ho lasciato il Bravo parcheggiato e ho proseguito a piedi, con uno zaino e una guida locale. Ho camminato per giorni tra i sentieri dell’Annapurna, dormendo in tea-house, svegliandomi con la vista delle montagne sacre.
È lì che ho imparato davvero cosa significa “essenziale”. Un pasto caldo, un letto, una parola gentile. I nepalesi non hanno molto, ma ti danno tutto. Ti guardano negli occhi. Ti ascoltano. Ti insegnano.
Ricordo una sera a Ghandruk, in una casa di pietra. La padrona mi ha cucinato il dal bhat migliore della mia vita. Non parlavamo la stessa lingua, ma ci siamo capiti. In silenzio.
Il lungo ritorno e l’abbraccio di Villa Petto
Il viaggio di ritorno è stato più veloce, ma non meno intenso. Il Bravo ha accusato i colpi: in Iran ho dovuto sostituire il radiatore, in Bulgaria una gomma esplosa, in Puglia la batteria. Ma è arrivato. Testardo come me.
Quando ho visto il cartello “Villa Petto” mi si è stretto il cuore. Le colline, il cielo limpido d’Abruzzo, l’odore del legno bruciato nei camini. A casa mi aspettavano pochi amici, quelli veri, e una grigliata improvvisata. Arrosticini, Montepulciano, abbracci sinceri.
Cosa ho riportato a casa
Ho riportato molto più di souvenir o foto. Ho riportato occhi nuovi. La capacità di vedere la bellezza delle piccole cose. Di sentire il tempo che scorre, e non solo misurarlo.
Ho riportato il valore del silenzio, imparato sulle montagne nepalesi. La gentilezza gratuita, respirata tra le moschee iraniane. La forza della semplicità, vissuta nei villaggi pakistani.
E ho riportato lui, il Bravo. Coperto di polvere, ammaccato, ma vivo.
Come me.
Mirco Di Filippo