Nella sua “Introduzione storico artistica agli studi del piano regolatore della città di Teramo” (Teramo, Casa Editrice Tipografica Teramana, 1934-XII) Luigi Savorini scriveva: “Quando, in un giorno che auguriamo non lontano, il Duomo sarà interamente isolato, bisognerà pur provvedere a ridar luogo, sulle piazze cosi ampliate, alle botteghe abbattute. Ventisette botteghe abbiamo contate lungo tre lati della cattedrale: sulla Piazza inferiore o del Mercato, sulla Via del Vescovado e la Piazza superiore. Ma molte sarebbero di più se si addivenisse anche all'abbattimento della casina attigua alla Loggia Municipale e al ripristino del Palazzo Vescovile”. I teramani di oggi sanno che il Duomo venne effettivamente liberato, anche, se vivo Savorini, rimase non staccato dal palazzo vescovile perché l’arco di Monsignore venne conservato (sarà abbattuto in seguito). Ma le botteghe abbattute di cui egli auspicava la ricostruzione, non lo furono. Eppure egli diceva che se, nel piano regolatore non si fosse tenuto conto della necessità di ricostruirle, l’isolamento sarebbe equivalso a desolazione. Tre maestosi monumenti medioevali ripristinati, isolati, campeggianti fra due piazze sarebbero stato uno spettacolo senza dubbio imponente, ma sarebbe stato desolante il fare attorno a questi monumenti il vuoto perfetto, il deserto, dopo tanti secoli che nei quali fervida era stata la vita. Queste parole di Savorini non possono non suonare come monito ai teramani di oggi, che spesso si lamentano della desolazione del centro storico e del suo abbandono, tanto che ogni area lontana più di cento metri dal Corso San Giorgio sembra essere diventata periferica.
Ma Savorini lanciava ai teramani un altro monito: non avrebbero dovuto trasportare altrove il centro commerciale cittadino. Si sarebbero potuti creare a Teramo altri centri: un centro scolastico nei paraggi del nuovo Real Collegio, un centro ospedaliero attorno al nuovo Ospedale Chirurgico, un centro industriale alla stazione ferroviaria. Ma i centri commerciali non si creavano artificialmente, sentenziava, erano e sarebbero state sempre quelli che ragioni storiche e topografiche e le istintive preferenze del popolo avevano stabilito attraverso i secoli. Le due piazze, quella di sopra e quella di sotto, per indicarle coi nomi famigliari ai Teramani, erano destinate a costituire in perpetuo la città-centro del mercato, del commercio, degli uffici. Eranecessario che tutte le botteghe abbattute trovassero una ricollocazione nelle stesse piazze. Come raggiungere questo obiettivo? Savorini avvertiva che in materia di assestamenti edilizi potevano verificarsi delle determinanti che avrebbero potuto portare a soluzioni impreviste. Una linea nuova avrebbe potuto risultare decisiva per le sorti di tutto un quartiere, se non della città intera ed egli come linea nuova pensava alla strada che sarebbe stata aperta fra le due piazze, lungo il fianco meridionale della Cattedrale. Quella strada sarebbe stata provvidenziale per due ragioni. In primo luogo perché avrebbe agevolato lo smistamento delle folle nei giorni di gran ressa, su di un lato della Piazza Superiore, il quale attualmente era fornito soltanto di due sbocchi, mentre il lato opposto, verso San Giorgio, aveva il privilegio di goderne quattro. In secondo luogo perché avrebbe determinato una linea che sarebbe stata fondamentale per l'unificazione perimetrale delle due piazze. L'unificazione integrale delle due piazze forse sarebbe risultata da ottenere e, per ragioni storiche, forse era anche poco opportuno desiderarla. Era bello rinnovare il volto di una città, non altrettanto bello “svisarlo interamente”. Ma non si sarebbe andati troppo contro le tradizioni storiche, se un giorno si fosse riusciti ad unificare le due piazze almeno alla periferia, abbracciandole nell'ampio quadrilatero che la nuova via sul fianco meridionale del Duomo avrebbe determinato. Pochi arretramenti, limitati soltanto ai lati meridionale ed orientale della Piazza Inferiore, avrebbero costituito un quadrilatero lungo il quale si sarebbe potuto prolungare la palazzata già iniziata nella Piazza Superiore, col relativo porticato. Le nuove costruzioni avrebbero potuto accogliere nei piani superiori gli uffici, le banche e gli altri istituti. Sotto i loggiati avrebbero potuto allinearsi, in numero ben maggiore dell'attuale, i negozi cittadini, fornendo un riparo, durante la stagione invernale, che a Teramo poteva durare da ottobre ad aprile, alle genti del contado, le quali erano quelle che davano vita alla città nei giorni di fiera e mercato. Teramo, che era stat così ospitale ed accogliente nell'epoca romana con le basiliche del forum d'Interamnia e che nel medioevo, coi numerosi portichetti, pareva una “Bologna d'Abruzzo in miniatura”, avrebbe potuto tornare ad esercitare per tutto l'agro pretuziano le sue funzioni di “hospitium” e di “conciliabulum”, in stile più rispondente alle esigenze del presente e alle aspirazioni dell'avvenire.
Ancora una volta mi affido alle riflessioni dei teramani di oggi, che sanno ciò che è accaduto dopo i lavori dell’isolamento del Duomo e possono giudicare, ciascuno per suo conto, se gli avvertimenti di Savorini siano stati o no tenuti in considerazione. Ciò che lui auspicava e non si è realizzato è davanti agli occhi di tutti. Lui che scongiurava di non allocare un centro commerciale al di fuori del centro cittadino non poteva certo immaginare le conseguenze che avrebbe apportato il non seguire il suo consiglio.
Elso Simone Serpentini