Un momento di storia. Anche se il nostro essere contemporanei ci impedisce, forse, di intuirne la portata, quello di oggi, nell’aula magna dell’Università di Teramo, è stato un momento di storia.
Di storia vera, quella che segna, cambia, stravolge e determina i destini di un luogo e del popolo che in quel luogo vive. Sulla carta, doveva essere una conferenza stampa convocata dal Magnifico Rettore Christian Corsi per fare il punto sulla Cittadella della Cultura, ovvero sul progetto di recupero dell’ex manicomio di Teramo.
Del quale, mi limiterò a dirvi pochissime cose, ovvero che i milioni perduti sono stati recuperati, che la gara d’appalto per i lavori è stata bandita, che le ditte partecipanti sono 35, che i lavori cominceranno nei prossimi mesi e che, entro il 31 dicembre del 2028, il primo lotto dovrà essere ultimato.
Questo è il primo lotto.
Per il resto, anche per l’esito del ricorso presentato dalle associazioni teramane dei costruttori all’Anac (e dall’Anac di fatto respinto) vi rimando all’integrale della conferenza stampa, che troverete alla fine di questo articolo.
Sono 29 minuti di notevole importanza, vi consiglio di seguirli, perché intuirete che il Rettore non parla di un progetto, ma di una visione; non dettaglia un intervento ma indica un orizzonte; non annuncia un cantiere ma suggerisce un destino.
Non racconta la rinascita di un passato, che si fa occasione per il presente, ma offre un’occasione al futuro.
Un’occasione, sì.
Come aveva lasciato intuire nel suo programma rettorile, Corsi riporta l’Università a Teramo, riprendendosi di autorità quel ruolo di culla delle idee e incubatrice delle prospettive che, un tempo, era proprio delle università e che, nel tempo, si è perduto, consegnando purtroppo agli Atenei il ruolo limitante di gestire l’alta formazione, ma fin troppo spesso confinata nei binari di una mortificante normalità.
Corsi non ci sta, non è questa la “sua” idea di università ed ecco che, a metà della conferenza stampa, con la convinta e coraggiosa disinvoltura di chi sente di avere un ruolo da svolgere, sfodera l’altro motivo, forse quello vero, di questa conferenza stampa: la visione.
La Cittadella non è un progetto, ma un grimaldello con il quale il Magnifico scardina tutte le stanche logiche politico - istituzionali di una città di provincia periferica quale la nostra, e ridefinisce le regole del gioco.
E gli spazi stessi del gioco, magari - ed è un progetto - portando il Tribunale a Colleparco, per creare una sinergia formativa con la facoltà di Giurispridenza.
Un sogno? No, una visione.
È un po’ come quando, dal gruppo di una tappa alpina del Giro, mentre ci si avvicina alle salite più dure, si stacca un corridore con uno scatto fulminante: la reazione è sempre la stessa, c’è chi resta immobile, confidando nell’insuccesso dell’iniziativa, e chi intuisce la possibilità di una fuga storica e si lancia all’inseguimento.
Corsi è uscito dal gruppo.
La sua non è una fuga velleitaria, ma la prima pedalata di una «… rivoluzione culturale, di una rivoluzione scientifica, di una rivoluzione che diverrà anche economica, perché non dobbiamo immaginare solo i nuovi spazi, ma anche i nuovi contenuti… dobbiamo costruire nuovi modelli e definire, finalmente, la vocazione della città di Teramo… che deve essere culturale, scientifica e di formazione, inserita in un network nazionale ed internazionale…»
Ascoltatelo
Provo a sottolineare un passaggio fondamentale: «Io non so se la città di Teramo è pronta a rispondere e non so se questa città è pronta al cambio di modello, io so che l’Università di Teramo è pronta, l’Università di Teramo sta lavorando per questo e darà con grande coraggio il proprio contributo alla nuova vocazione… perché Teramo divenga attrattiva e sappia costruire sulle sue particolarità».
C’è un uomo che è uscito dal gruppo e ha lanciato la scaalata al futuro.
Non facciamo l’errore di lasciarlo solo.
ANTONIO D’AMORE