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Il 6 agosto pubblicavo su certastampa un articolo nel quale segnalavo che c’era un canzone che il maestro Enrico Melozzi non voleva inserire da tre anni nella Notte dei Serpenti per una incertezza sulla paternità delle musica che aveva dato veste melodica ai versi di Antonio Misantone, certo autore del testo di “Arvì”, uno dei più struggenti canti popolari abruzzesi, in cui un innamorato dice di aspettare invano da tre anni che Carmela mantenga la promessa che gli ha fatto, partendo, presumibilmente per l’America, con la sua famiglia. “Mi hai ingannato”, le dice nel ritornello. Nella seconda strofa dice che la sera si addormenta pensando a lei, con la speranza di poterla riabbracciare, ma l’indomani si sveglia costretto a constatare che lei non è tornata. Nella terza strofa l’innamorato confessa che per lui le viole ora non profumano più e il prato non è più bello; nella quarta ed ultima strofa la speranza delusa diventa un lamento: lui ha saputo che lei non ritornerà, che ha un altro amore e lui sono tre anni che guarda inutilmente il mare e non la vede tornare. Nell’articolo esponevo tre tesi contrapposte, che autore della musica fosse Ennio Vetuschi (come risultava in Siae e sugli spartiti dei diversi cori abruzzesi), Gianni Giannascoli (come sostenuto da qualcuno), lo stesso Misantone, come sostenuto da altri. “Vetuschi, Giannascoli o Misantone? Chi è il vero autore della musica di “Arvì”?” chiedevo, concludendo: “Se sono tre anni che l’innamorato aspetta invano il ritorno di Carmela, sono tre anni che il pubblico della Notte dei Serpenti aspetta invano che Melozzi inserisca “Arvì” nella scaletta e forse dovrà aspettare ancora di più, fino a quando il giallo non verrà risolto. Chi ha scritto davvero la musica di “Arvì”?
Il 7 agosto interveniva anche Gabriella Serafini Blasiotti, l’altra consulente del maestro Melozzi, con un suo articolo intitolato “La canzone contesa. Forse ca scì, forse ca no”. Sullo spunto di questi due articoli, Antonio D’Amore, titolare del sito certastampa, interessandosi personalmente della vicenda, certamente avvincente, avviava una propria inchiesta, tendente a provare a stabilire quale fosse la verità, ad accertare chi fosse il vero autore della musica di “Arvì”, che il presidente della Corale “Verdi”, Agostino Ballone, si era affrettato a dire che era tutt’altro che contesa, essendo certo che ne fosse autore Vetuschi, pur auspicando che si cercasse o si riaffermasse la verità conosciuta sulla base di prove. E una prova, documentale, arrivava subito nell’inchiesta di D’Amore: uno spartito scritto di proprio pugno da Gianni Giannascoli, nel quale si leggeva che la canzone “Arvì Carmè”, valzer-barcarola, aveva come autori “Misantone-Giannascoli”. “E’ Lo spartito che chiude la questione”, scriveva D’Amore. Il quale aveva, però, altre frecce al suo arco, e infatti annunciava altre puntate della sua inchiesta, pubblicando le quali si aprivano piste alternative per la soluzione del giallo musicale, che intanto si imponeva all’attenzione anche del TG3 Abruzzo con ben due servizi di Antimo Amore, andati in onda sia nell’edizione pomeridiana che in quella serale. Sembrava prevalere ad un certo punto la tesi dello stesso Misantone autore della musica, come sostenuto con vigore dal figlio Totò, sulla base anche di attestazioni di prestigiosi studiosi quali Oberdan Marciano (“Parlature paesane”, Pescara 1954) e Gaetano D’Aristotele (“Quaderni di poesia dialettale n. 16, Centro Studi Abruzzesi-Pescara, 1972), riportati nel libro su Misantone pubblicato nel 2002 dall’Associazione “Mons Siccus”, Ernesto Piccari, il quale a sua volta sottoscriveva la tesi riportata sul libro di Misantone autore di testo e musica.
Antonio Di Donato, intervistato anche lui da D’Amore, in successivi interventi su Facebook ribadiva l’importanza dello spartito scritto di proprio pugno da Giannascoli, con la sua calligrafia e il suo stile, custodito quale ricordo intimo dalla famiglia, un pezzo di carta pentagrammata conservato finora al riparo dei clamori, che diceva di avere a suo tempo inviato al maestro Melozzi, portandolo a conoscenza della memoria della famiglia Giannascoli legata all’asserita paternità della musica di “Arvì” e inducendolo così ad esitare nell’inserimento di “Arvì” nella scaletta della Notte dei Serpenti.
L’inchiesta di D’Amore si è conclusa con un colpo di scena, una svolta inattesa, una rivelazione, la testimonianza di un autentico monumento del teatro e della poesia dialettale, il 94enne Pasquale Di Menco, autore e regista di tante commedie dialettali, a sua volta poeta dialettale e autore di testi messi un musica. E’ spuntato come testimone diretto, oculare e auricolare, presente fisicamente quando la linea melodica del brano, che si chiamava allora “Arvì Carmè”, nacque la sera e poi la notte del 13 ottobre 1943, nella chiesa di Santa Maria La Nova, a Cellino Attanasio, dove un coro di bambini che provava le canzoni di Natale venne interrotto affinché sulle corde di un mandolino nascesse un capolavoro musicale. D’Amore ha sentito vari testimoni, e dal dialogo fra più voci è spuntata la verità storica e la storia – come la musica – vive di voci, memorie e confronti, di documenti e di testimonianze dirette.
Ora sappiamo come sono andate le cose. Sappiamo come è nata “Arvì” e cosa è diventata dopo. La storia di questo brano sarebbe assai piaciuta al compianto Francesco Sanvitale, scomparso nel 2015, che di storie e aneddoti di vecchie canzoni ne ha raccontati tanti nei suoi libri.
Proviamo a punteggiare una cronologia. 13 ottobre 1943: Antonio Misantone porta il testo di “Arvì Carmè” a suo cugino Luigi (Gino) Dati, che prende il suo mandolino e prova una linea melodica che piace molto a Misantone, tanto da indurlo e proseguire. Lavorano alla musica la sera e tutta la notte. Non si sa quale sia stato il contributo dell’uno e quale quello dell’altro, come accade quando l’autore di un testo e l’autore di una musica lavorano insieme, adattando ora il primo alla seconda, ora la seconda al primo. La mattina successiva è nata una canzone che è un capolavoro. La musica va però fissata su un pentagramma, ma Misantone e Dati, che pure suonano ad orecchio diversi strumenti, hanno poca dimestichezza con il pentagramma (Dati, con lo pseudonimno Addati, firma tuttavia la musica di altre poesie di Misantone: “Simpre”, “L’urganette”) e si rivolgono perciò ad un giovane che ne ha un po’ di più: Gianni Giannascoli, che collabora da qualche tempo con Misantone (sua sarà la musica di “Ninnelle”, su versi di Misantone, che vince il 1° premio al V Festival di Vasto del 1959). Giannascoli scrive uno spartito che è poco più di un appunto ma fissa un titolo (“Arvì Carmè”) e un genere, (“valzer-balcarola”), e come autori “Misantone-Giannascoli”, senza riportare il nome di Dati. La canzone viene cantata da diversi cori di Cellino Attanasio, ma sostanzialmente resta a dormire per dieci anni, fino al 1953, quando, emigrato Giannascoli in Germania, Misantone decide di iscrivere la sua canzone (diventata semplicemente “Arvì”) al Concorso Regionale di nuove canzoni in vernacolo abruzzese che si svolge all’Aquila nel 1953 in concomitanza con il concorso “La più bella e la più brava ragazza d’Abruzzo e Molise”. Il concorso femminile lo vince la sorella di Fred Bongusto, quello delle canzoni lo vince “Cris, cris fiore” (testo di Roberto Ciancarelli, musica di Giorgio Cavalli e Walter Museo, eseguita nella storica “Rotonda” aquilana dal Coro Gran Sasso dell’Aquila, diretto dal maestro Paolo Mantini. “Arvì” si classifica al secondo posto (Totò Misantone conserva ancora a casa sua a Montefino la coppa vinta dalla canzone di suo padre in quel concorso), e porta la firma, come autore della musica, di Ennio Vetuschi, in quanto è lui che, pur non essendo in possesso del diploma di composizione, ma solo di quello di pianoforte, ha adattato la linea melodica di Dati (trascritta su pentagramma da Giannascoli), a quattro voci, per farla cantare al coro da lui nel frattempo fondato, il Coro Giuseppe Verdi di Teramo. Come ricorda il maestro Pasquale Santini, non era mai esistito nel passato il canto popolare a quattro voci ineguali, e i canti erano ad una sola voce, accompagnato dal ddù bbotte con i tre gradi fondamentali, 1°, 4° e 5°, della scala maggiore. Ma i tempi sono cambiati, ora i cori cantano a quattro voci e Vetuschi iscrive al concorso “Arvì”con il suo nome quale autore della musica, tralasciando quelli di Dati e di Giannascoli. La canzone, eseguita dal suo coro, da lui diretto, e vince il secondo posto, anche se tutti, anche chi ha vinto, riconoscono che avrebbe meritato il primo. Riconosciamo pure che la porta al successo, così come “Arvì” porta al successo lui e il suo coro, che, partito dal genere solamente lirico ed operistico, si dedica da qualche tempo alla musica popolare.
Nel 1962 Antonio Misantone muore, cadendo da cavallo mentre si reca a visitare come medico un suo paziente in campagna. I suoi figli Lea e Totò rinunciano ai diritti d’autore del padre, così, quando, nel 1964, Vetuschi, incide il suo primo disco di canzoni abruzzesi, che comprende anche “Arvì”, viene riportato, così come nel rilascio del 19 dicembre 2014, “Compositore Ennio Vetuschi, testo di A. Misantoni”
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Lea Misantone, quando il suo compagno Gaetano Mancini, uno dei fondatori della Banca Popolare di Teramo, mi invitava a cena a casa sua per farmi vedere l’ultimo filmato delle sue vacanze, mentre mangiavamo con gusto i suoi manicaretti, Lea mi diceva quanto so che ripeteva spesso a suo fratello Totò (come ha ricordato Pasquale Di Menco): “Noi abbiamo rinunciato ai diritti d’autore di papà e qualcun altro se li gode”. Tornato dalla Germania anche Gianni Giannascoli, saputo che il suo nome era scomparso da ogni riferimento ad “Arvì”, la cui musica era attribuita ad altri, esprimeva la sua amarezza e la sua delusione, ma solo nel suo ambito familiare e con pochi amici. Il figlio di Luigi Dati, nel frattempo morto, chiede a Di Menco la sua testimonianza per rivendicare la paternità della musica a suo padre. Di Menco si dice disponibile, ma poi non se ne fa niente e la cosa finisce lì.
Ora di “Arvì”, grazie alla meticolosa e meritevole inchiesta giornalistica di Antonio D’Amore, sappiamo tutto. La verità storica è stata raggiunta. Ma possiamo dire che tutta la verità è stata svelata? La risposta è no. E spiego perché. “Arvì” non risulta registrata alla Siae, per la quale semplicemente non esiste. Nel repertorio della Siae non c’è nessuna canzone con il titolo “Arvì”, quanto a Ennio Vetuschi non risulta amministrato (cioè iscritto) dalla Siae e risulta autore della musica di “Ere nu re”, su testo di Pasquale Di Menco (iscritto alla Siae), di “Pena nnascoste”, su testo di Raffaella Del Greco (iscritta alla Siae), coautore della musica, con Giovanni D’Alessandro (Gianni Dale, iscritto alla Siae), di “Rundenelle”, su testo di Alfonso Sardella (non iscritto alla Siae), coautore con Italo Luciani (non iscritto) di “Vent e lampare” (sic), su testo di Pasquale Di Menco. Antonio Misantone, invece, per la Siae risulta solo autore (non iscritto) del testo di “O bella rosetane”, su musica di Antonio Di Iorio (iscritto alla Siae).
Come si può constatare, quando il maestro Enrico Melozzi si dice perplesso sull’inserimento di “Arvì” nella Notte dei Serpenti per una incertezza sulla paternità della musica che ha dato veste melodica ai versi di Antonio Misantone, si riferisce ad una questione assai più complessa di quella derivante dalla mancata risposta alla domanda a chi abbia scritto la musica. Perché “Arvì”, ufficialmente, per la Siae semplicemente non esiste, e non ha né un autore del testo né della musica. Ma perché allora sui dischi, sui cd, sui libri di canzoni popolari abruzzesi si legge che il testo è di Misantone e la musica di Vetuschi? Semplicemente perché tutti questi mezzi, dischi, cd, libri di canzoni, sono pieni di inesattezze. Per la Siae “Arvì” non solo è orfana, ma non è mai nata né mai esistita.
Elso Simone Serpentini