Il caso della paternità musicale della canzone abruzzese “Arvì” su versi di Antonio Misantone, offre lo spunto per dare uno sguardo, seppur a volo d'uccello, sulla situazione di attribuzioni controverse di celebri canzoni abruzzesi, oggi eseguite da diverse corali, e divenute per così dire, di dominio pubblico. Negli anni '30 i poeti, per avere dei riscontri sui loro versi, erano soliti far musicare da più persone loro fidate la propria canzone. Questo è il caso di “Albe e ne albe” (1934), su versi di Giulio Sigismondi, musicata da Tommaso Coccione, ma all'epoca fatta musicare anche da Arturo De Cecco. Quest'ultima versione negli anni '50 era eseguita quasi sempre dalla Corale G. Verdi di Teramo, anche nelle trasmissioni radiofoniche di Radio Pescara. Spostandosi avanti, il poeta lancianese Cesare Fagiani presentò alle Maggiolate di Ortona la canzone “Damme n'appuntamente” con musica di Ugo Brasile, successivamente rimusicata da Ugo Di Santo. Lo stesso Sigismondi pare che si fosse ispirato a un motivo popolare, facendolo rielaborare dalla figlia Mirella, diplomata in composizione pianistica, per la celebrea canzone “L'arta cchiù prelibbate” (1947). Eppure raccontano che in un paese del teramano anni fa ci furono delle controversie per l'attribuzione errata delle canzone del Sigismondi, di cui un altro poeta s'arrogava il diritto di paternità. Spesso, in assenza di documenti validi, e anche in assenza di studi seri operati dai "direttori artistici" di alcune corali abruzzesi, per non parlare di casi di vera e propria ignoranza e pressapochismo sull'argomento, accade durante le presentazioni canore di ascoltare attribuzioni errate, o di svarioni vari circa i titoli delle canzoni. Ne abbiamo sentite, di recente, anche sulla paternità della celebre “La Viuletta” di Bruni e Tosti (1888), poiché il presentatore si era confuso nel distinguere tra gli autori originali e i compositori dell'elaborazione a 4 voci, in questo caso il M° Giuseppe Di Pasquale (Padre Donato OFM). Ciò purtroppo, per i non addetti ai lavori, genera confusione e anche scontri di paternità. Tra gli altri casi, clamorosi sono quelli de “Lu rifilatore” (1921) di Sigismondi e Di Jorio divenuto celeberrimo a Lanciano, specialmente per aggiunte "di gusto piccante" alle tre strofe, oppure “Na casetta a la Maielle” di Di Donato-Celsi, già famosa negli anni '70 per le edizioni delle Settembrate di Pescara, e per le rielaborazioni già eseguite a quei tempi dal M° Giuseppe Di Toro di S. Eusanio. All'epoca, tuttavia, per la diffusione di nastri registrati, di dischi LP e, in epoca più recente, di CD, non si badava e spesso non si bada tuttora a verificare la paternità di queste canzoni, scrivendo nella descrizione della copertina con troppa faciloneria "di anonimo", oppure, per ignoranza o in malafede, scrivendo i nomi del poeta di grido di turno. Potremmo citare anche l'esempio di una canzone remixata attribuita a Nino Saraceni e Guido Albanese, la quale non è assolutamente di loro paternità, ma è così pubblicizzata in certi CD. E lo stesso dicasi per le pubblicazioni cartacee, con errori ripetuti ad libitum, in particolare per la canzone “Paese me” di Antonio Di Jorio, i cui versi sono attribuiti, in certe pubblicazioni, all'amico poeta e sacerdote Luigi Illuminati. Ma i riferimenti della canzone ad Atessa, alla sua campana, ai suoi colli, al Monte Pallano sono chiarissimi, e di certo Di Jorio, che conosceva bene il ritmo dei versi per potersi rivestire di note, in questo caso non aveva bisogno dell'amico Illuminati per scrivere una canzone sul suo paese natio. E lo stesso Illuminati altrove è menzionato come autore dei versi della canzone “A lu cannete” con la musica del Di Jorio (Maggiolata 1952), una canzone che invita i giovani a divertirsi in un canneto, nascosti agli occhi indiscreti, di certo non poteva esser materia canora, per quanto innocua, per un sacerdote! Nemmeno don Cesare de Titta si sarebbe spinto a tanto! Eppure, purtroppo, ci capita spesso, nell'ascoltare le corali in questa o quella rassegna canora abruzzese, di assistere a questi errori. La cosa risulta ancor più spiacevole... e risibile quando si dichiara di "voler preservare le antiche tradizioni". Alla conservazione della tradizione, vanno sommate impegno, dedizione, e ricerca.
Angelo Jocco
Ricercatore di musica popolare abruzzese