Il ritorno a scuola, a Teramo, quest’anno ha il sapore amaro di una ferita ancora aperta. Mentre gli studenti ripopolano i corridoi e le famiglie ritrovano la quotidianità dei banchi, il caso del Convitto e liceo Delfico torna con forza al centro della scena. Non si tratta soltanto di un fascicolo giudiziario, ma di una vicenda che da mesi mette a nudo le fragilità di un intero sistema: quello che dovrebbe garantire sicurezza e continuità all’istruzione dei nostri ragazzi. La conferma dell’iscrizione nel registro degli indagati di tre tecnici della Provincia, riportata oggi dal Centro, segna un nuovo passaggio in una vicenda già segnata, lo scorso anno, dal sequestro dell’edificio. Una misura drastica, ma giudicata necessaria dai tribunali e persino dalla Cassazione, che ha ricordato come i livelli di sicurezza sismica fossero ben lontani dai parametri di legge. In queste ore, la Provincia ha scelto la strada dell’istanza di dissequestro, forte di nuove relazioni tecniche che puntano a dimostrare la solidità della struttura. È un segnale, forse anche un atto dovuto, ma non basta a dissolvere l’amarezza di una comunità che vive sospesa tra carte bollate e perizie, tra aule scolastiche provvisorie e la speranza di rivedere il Delfico restituito ai suoi studenti. Il paradosso è tutto qui: mentre la campanella suona, uno dei luoghi simbolo dell’istruzione cittadina resta prigioniero di una disputa tecnica e giudiziaria. Ma ciò che davvero non possiamo permettere è che i tempi della giustizia e quelli della burocrazia continuino a scivolare sulle spalle di chi ha meno colpe: gli studenti e le loro famiglie. La lezione che questa vicenda ci consegna è chiara: il diritto allo studio non può convivere con l’incertezza strutturale. Restituire sicurezza agli edifici scolastici significa restituire dignità alla comunità. È su questo terreno che si gioca, davvero, la credibilità delle istituzioni.