Caro Direttore,
tiene banco in questi giorni la querelle sull’ “Affaire Beatrice Venezi”.
La prima parola che purtroppo mi viene in mente è: sufficienza.
Ossia, lo scarso livello di profondità con cui si affrontano le questioni nel nostro Paese, dalle più serie alle più leggere. Quasi non vi fosse l’esigenza di distinguere, tutto si appiattisce a rissa e caos. Confesso che con ammirato stupore assistoall’esplosione della“questione Venezi”che, raramente in Italia,coinvolge con tanto fervore la musica colta. Mi ha fatto tornare alla mente la grande presa di posizione che il mitico Uto Ughi assunse, qualche anno fa (correva l’anno 2008), nei riguardi di Allevi, reo di qualche uscita, che simpaticamente definisco impropria, sulla musica colta. All’epoca i social non avevano la portata odierna per cui la discussione coinvolse una platea meno ampia.Oggi, invece,il “merito”dell’esplosione del caso è, in parte,da ascrivere al meraviglioso mondo social in cui, purtroppo, imperversa il seme della tuttologia che inebria le menti e poi libera le mani all’effluvio delle dita sulla tastiera. Sempre con la stessa solfa trita e ritrita: tutti hanno soluzioni facili per problemi complessi, financo coloro che, nel caso di specie, non hanno mai messo piede in una sala da concerto o un teatro. Se ne leggono di tutti i colori e, ahimé, sono pochissime le riflessioni sensate ed intelligenti che val la pena recepire sull’argomento.
Il sistema musicale italiano non è un terreno semplice ed è un paradigma di tanti piccoli insiemi disfunzionali. Talvolta, neanche chi è parte del sistema è in grado di spiegare le regole del gioco ma, prudentemente, possiamo tentare di dare qualche piccola indicazione.
Il caso “Venezi” sta, con tutta evidenza, trovando nell’alveo politico il terreno di scontro ideale per distrarre l’attenzione dal punto nevralgico del problema, anzi dei problemi. Gli esponenti di destra tentano di tacitare la questione recriminando un modus operandi tipico della sinistra che, nel tempo,avrebbe impunemente “Occupato” posti in quota politica; le opposizioni, invece, rispondono puntando sul fatto che le scelte passate sono state fatte sempre e solo in nome della qualità.Rimando, però, agli esperti di politica spiegare le barricate storiche della sinistra e della destra sulla “Questione Cultura”.
Tornando a noi e senza divagare, la protesta del Teatro “La Fenice” non si basa sul sistema“spoil system” in sé, piuttosto che venga applicato NON ad una figura amministrativa o manageriale ma al direttore stabile di un’orchestra.Sulla naturadi questa nomina germoglia, appunto, la protesta dei professori d’orchestra che, lor malgrado, hascatenato le reazioni scomposte social; ho letto affermazioni,loro rivolte, da stadio “Ma che pensassero a suonare” o “sono stipendiati, tacciano”, e tanto altro. Chiariamo una cosa, però: imusicisti, per essere assunti in un’orchestra professionale (peraltro in Italia non ne abbiamo molte), devono superare concorsi durissimi e rigorosissimi, per la cui preparazione strumentale minuziosa sono necessari mesi, anni, di lavoro intenso (non retribuito, ovviamente).
Una gara a tutti gli effetti, in cui il minimo errore può costare carissimo ad ogni candidato. Ne consegue che un’orchestra del calibro de “La Fenice”, come le altre, consta di musicisti di prim’ordine. Basterebbe questo per chiudere la questione ma,nel nostro Paese,anche ciò che appare semplice diventa tremendamente complesso; ahinoi, pur vantando l’Italiala definizionedi culla della musica e del “Bel Canto”, i musicisti sono ancora considerati alla stregua di saltimbanco. Percezione, di fatto, generata dallo scarso investimento che il nostro Paese dedica, da troppi anni, alla formazione musicale ed alla cultura musicale in generale; stato dell’arte che, invero, si traduce con ampio disinteresse nei riguardi della musica colta, e non solo. Con tutta evidenzanon risulta considerato affatto importante far sìche,nella popolazione,fiorisca l’esigenza della “Bellezza”. All’educazione delle comunità potrebbe/dovrebbe provvedere anche chi ha responsabilità amministrative, ma questa è un’altra storia.
I professori d’orchestra, quindi, sono abituati e sanno che sovrintendenti, direttori artistici, consigli di indirizzo e consigli di amministrazione rientrano a pieno titolo nelle lottizzazioni politiche e, dunque, sono soggette allo spoil system. Allo stesso tempo, però, non possono e, a mio modesto parere non devono,tacere dinanzi alla nomina evidentemente politica del direttore principale, perché è la figura con cui si interfacciano e interfacceranno quasi quotidianamente; la figura che dovrà far maturare l’esperienza musicale dell’orchestra, la cui vita d’apprendimento è sempre in divenire. Qui siamo al punto dolente della questione. Il malumore non nasce dall’appartenenza politica della Venezi, della cui convergenza a destra della bacchetta non importa sinceramente a nessuno, bensì dal fatto che, musicisti di prim’ordine non la ritengono all’altezza del ruolo che andrebbe a ricoprire. Sul punto è davvero stucchevole leggere il polverone sollevatosi perché, fortunatamente, nella musica, così come nello sport, sono cristallizzate le categorie. Guidare un’orchestra non è un gioco di segni nell’aria, è un mestiere molto complesso. In inglese si dice “Conductor”, forse una declinazione deltermine, affine all’idea della “Guida” in latino,che meglio definisce l’importanza ed il ruolo della figura del direttore d’orchestra; scomodando il sommo poeta, ritengo si possa accostare all’Aristotele dantesco: “Il Maestro di color che sanno”.
Questa è l’immagine mitologica dei grandi direttori, le cui letture musicali hanno donato all’umanità profondità, sapienza musicale e non solo. A questo aspirano, senza dubbio alcuno, i professori d’orchestra: ad avere una guida che faccia crescere loro stessi el’orchestra. E non può essere solo una questione legata al curriculum. A tal proposito, gira sul web una simpatica comparazione tra il curriculum della Venezi e quello di Diego Matheuz; qualche insano tifoso mette sullo stesso piano la nomina del 2011 del direttore venezuelano a “La Fenice” con quella attuale della Venezi considerandoli a pari livello, ergo non giustificando la protesta attuale. Tuttavia, basterebbe informarsi per sapere che il talento Matheuz era stato “benedetto” da Sir Simon Rattle e da Claudio Abbado.
La questione curriculare, peraltro, potrebbe anche non essere un metro di giudizio se consideriamo che numerosi direttori e musicisti, anche di discutibile valore, viaggiano con un Cv “inquinato” dalla fortuna di aver avuto qualche sostenitore, o addirittura fondi personali, per affittare orchestre o sale da concerto. Ma la sufficienza di cui abbiamo parlato all’inizio, alberga anche nell’animo di coloro che commisurano l’abilità con quanto danaro si guadagna. “Sei” perché guadagni non è sinonimo di qualità, guadagni perché “Sei” è una declinazione diversa, ben diversa.
Il web, caro direttore, offre anche notevoli possibilità per formarsi opinioni ed idee attraverso l’enorme quantitativo divideo musicali presenti. Uno strumento che, se ben usato, può risultare utilissimo. Senza condizionamenti e preconcetti consiglio di guardare ed ascoltareper formarsi un’opinione propria,basterà poco per farsi un’idea chiara. Non dico di paragonare un video della Venezia quelli diKleiber, Abbado, Muti, Baremboim, Rattle, Pappano, Petrenko ecc…, sarebbe ingeneroso, si può però prendere ad esempiol’italianissimo e bravissimo Michele Mariotti e un emergente interessantissimo classe 1996:Klaus Mäkelä.
Oppure, per i più pigri, c’è sempre il grande classico con il mitico Leopold Stokowsky in “Fantasia” di Disney. Sì, ci sono le categorie.
Chiedo ai tifosi di calcio: vorreste che la vostra squadra del cuore ingaggiasse un centravanti di serie C per fare la Champions?
M° Andrea Castagna