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Ugo_Coppola.jpgSono stati trasportati in obitorio i resti rinvenuti nelle scorse ore, collegati al caso del sub pescarese Ugo Coppola, scomparso il 13 agosto scorso durante un’immersione di gruppo al largo di Ravenna. Proprio due giorni fa avevamo dato conto degli ultimi sviluppi dell’inchiesta aperta dalla Procura. Il sostituto procuratore Silvia Ziniti ha iscritto nel registro degli indagati due istruttori subacquei con l’accusa di omicidio colposo. La Procura mantiene il massimo riserbo sulle indagini e non ha reso noto in quale contesto professionale operino i due indagati. La scomparsa di Coppola, 54 anni, originario di Pescara, aveva avuto forte risonanza mediatica sia per il dramma umano, sia per le circostanze della spedizione subacquea organizzata dal centro Dive Planet di Rimini. Coppola, infatti, si era unito a un gruppo diretto al relitto della piattaforma Paguro, affondata nel 1965 e diventata una meta molto frequentata dagli appassionati di immersioni. La spedizione era partita la mattina del 13 agosto da Rimini; il gruppo era riemerso dopo circa cinquanta minuti, intorno alle 13.30. Subito ci si accorse dell’assenza di Coppola e scattò l’allarme. Le ricerche furono imponenti: coordinate dalla Guardia Costiera di Ravenna, con l’impiego di unità navali da Cesenatico e Rimini, elicotteri dell’Aeronautica e dei Vigili del Fuoco, oltre a sommozzatori specializzati della Guardia di Finanza e dei pompieri. Nonostante gli sforzi, il corpo del 54enne non venne mai ritrovato. Un tassello importante nelle indagini riguarda il percorso di abilitazione seguito da Coppola per ottenere i brevetti necessari ad affrontare immersioni complesse come quella sul Paguro. Proprio su questo fronte si concentrano ora le attenzioni investigative, alla luce anche delle dichiarazioni rese mesi fa da un’ex istruttrice del sub, che raccontò di aver deciso di interrompere un suo corso in piscina a causa delle difficoltà riscontrate dall’uomo nella gestione delle attrezzature e delle tecniche subacquee. «Sembra brutto dirlo oggi – spiegò allora l’istruttrice – ma aveva serie difficoltà. Non gli feci terminare il corso. Quando glielo comunicai, si disse disposto a pagare centinaia di euro in più per continuare, ma gli risposi che non era corretto: avremmo solo preso i suoi soldi». Le indagini proseguono e la Procura di Ravenna lavora per ricostruire ogni passaggio della vicenda.