Il passato ritorna, e non sempre in silenzio. Intorno all’area dell’ex inceneritore di Teramo, i carotaggi e le analisi chimiche condotte nell’ambito della campagna di caratterizzazione del suolo hanno rivelato quello che in molti sapevano da anni, ma che nessuno voleva accertare: il terreno è contaminato da un cocktail di sostanze pericolose. Secondo i dati, nel sottosuolo si registrano tracce consistenti di ossido di zinco, manganese, composti organici e, soprattutto, diossine: un mix tossico che racconta la storia di decenni di combustioni, emissioni e depositi. Non si tratta soltanto di un’eredità scomoda: le diossine sono tra i contaminanti più persistenti e pericolosi in assoluto, capaci di accumularsi nella catena alimentare e di generare danni gravi alla salute umana, dalle patologie tumorali alle disfunzioni endocrine. La presenza contemporanea di ossido di zinco e manganese, entrambi metalli pesanti, conferma un quadro di degrado ambientale che va ben oltre. Quello di Teramo è un “ecomostro”. Non solo perché si erge, ormai dismesso, come una cattedrale tossica ma perché rappresenta l’emblema di una stagione in cui l’impatto ambientale era sacrificato sull’altare di una presunta modernità.
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