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PHOTO-2025-10-10-17-50-16.jpg“Fuori l’industria bellica dall’università”. Con questo slogan si è svolto nel pomeriggio, davanti all’Università di Teramo, un presidio di protesta contro la presenza di rappresentanti di Leonardo S.p.A. e della Fondazione Med-Or, invitati a un incontro sul tema “One Health, One Earth”, dedicato alla salute e al benessere globale. La contestazione nasce dopo l’intervento del direttore dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Teramo, Nicola D’Alterio, che ha difeso la partecipazione di Marco Minniti (presidente della Fondazione Med-Or) e Stefano Pontecorvo (presidente di Leonardo S.p.A.), affermando che “si lavora per il bene della comunità con gli alleati più disparati”. Una frase che, secondo i manifestanti, suona come una legittimazione della collaborazione con soggetti legati all’industria militare. I partecipanti al presidio hanno denunciato la progressiva penetrazione delle aziende belliche negli atenei pubblici, accusando il mondo accademico di “normalizzare” la presenza di gruppi industriali coinvolti nella produzione di armamenti. In particolare, la Fondazione Med-Or – creata da Leonardo per promuovere attività culturali e formative – è stata indicata come “strumento di soft power” per rendere accettabile la presenza dell’industria militare nei luoghi della conoscenza. Secondo gli attivisti, “ogni catena di violenza ha bisogno di una catena di legittimazione, e non c’è arma più potente del sapere quando viene messo al servizio del potere”. Da qui la richiesta di interrompere ogni collaborazione tra università, enti di ricerca e imprese del comparto militare. Nel mirino della protesta anche il legame di Leonardo con Israele: l’azienda, partecipata per il 30% dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, è accusata dai manifestanti di aver continuato a commerciare armi con lo Stato ebraico durante la guerra a Gaza. Un’accusa che richiama le dichiarazioni dell’amministratore delegato Roberto Cingolani, secondo cui le forniture non si sarebbero interrotte negli ultimi due anni. I promotori del presidio hanno infine ribadito che “la conoscenza non può essere messa al servizio della guerra”, chiedendo trasparenza sui contratti, i finanziamenti e le partnership tra atenei e industrie belliche.