
Quattro mesi di lavoro notturno, un’estate passata a sorvegliare gli ingressi di un campeggio sulla costa teramana, tra zanzare, silenzio e stanchezza. Turni infiniti, straordinari mai retribuiti, chilometri macinati ogni giorno per raggiungere il posto di lavoro. Alla fine, però, l’unica cosa che ha ricevuto è stato un rifiuto.
L’uomo, dipendente di una società di vigilanza privata, ha lavorato come operatore di sicurezza dal 15 maggio al 15 settembre, coprendo turni esclusivamente notturni – dalle 22 alle 7 o, nei periodi di maggiore affluenza, dalle 19 alle 7. In quattro mesi ha accumulato oltre 250 ore di straordinario, mai riconosciute in busta paga. Ogni giorno percorreva sessanta chilometri tra andata e ritorno, spendendo più di 200 euro al mese in carburante.
“Non mi sono mai lamentato – racconta –. Facevo il mio lavoro, rispettavo gli orari e le consegne. Speravo che gli straordinari li avrebbero pagati, ma è successo solo in modo... fantasioso... ”.
Il colpo di scena arriva questa mattina, quando si presenta in sede per ritirare l’ultimo stipendio. Gli viene negato. Il motivo? Una camicia mancante del vestiario aziendale. “Mi hanno detto che finché non porto la camicia non mi danno nulla. Non parliamo di un anticipo o di un premio, ma di soldi che ho guadagnato lavorando di notte per quattro mesi.
È un’umiliazione.” Un caso che racconta, meglio di tante statistiche, le condizioni di sfruttamento e precarietà che segnano il lavoro stagionale, soprattutto nei settori della vigilanza e dei servizi. Turni massacranti, compensi bassi, spese di trasporto a carico dei lavoratori e, spesso, diritti elementari ignorati.
“Questa storia – commenta un sindacalista interpellato – è purtroppo una delle tante. Il settore della vigilanza è tra i più esposti a irregolarità: subappalti, contratti al ribasso, ore extra non pagate, e nessuna tutela reale per chi lavora”. L’uomo si è già rivolto ai Sindacati, ma sta valutando se rivolgersi all’Ispettorato del Lavoro per presentare una denuncia formale per mancato pagamento delle spettanze. “Non lo faccio solo per me – spiega – ma perché certe ingiustizie devono finire. Non si può negare uno stipendio per una camicia, come se la dignità di una persona valesse meno di un pezzo di stoffa.”

