
In Abruzzo, tra le colline che guardano l’Adriatico e gli stabilimenti industriali che ne scandiscono la vita economica, batte una parte importante del motore di Coca-Cola in Italia. La multinazionale americana, presente nel nostro Paese dal 1927, continua a investire e creare valore in un territorio che, anno dopo anno, si conferma cruciale per la sua filiera produttiva. Secondo l’ultima ricerca della SDA Bocconi School of Management, nel 2024 Coca-Cola Italia, Coca-Cola HBC Italia e Sibeg — le tre società che rappresentano il gruppo nel nostro Paese — hanno generato 1,142 miliardi di euro di risorse complessive, tra stipendi, imposte, acquisti e investimenti. Un contributo che equivale allo 0,05% del PIL nazionale, ma che assume un significato ancora più concreto quando si guarda ai territori, come l’Abruzzo, dove la presenza del brand si traduce in occupazione, reddito e sviluppo. Nel nostro Paese Coca-Cola è il primo datore di lavoro del settore delle bevande, con 29.840 posti di lavoro generati tra diretti e indiretti (+10% rispetto al 2022). E anche in Abruzzo, la sua presenza industriale ha un impatto evidente: lo stabilimento regionale, con le attività di produzione e distribuzione, dà vita a un indotto fatto di micro e piccole imprese locali, trasportatori, fornitori e servizi logistici. Per ogni dipendente diretto, si creano oltre undici posti di lavoro lungo la filiera. Significa che dietro ogni bottiglia che esce dallo stabilimento abruzzese c’è una rete ampia e vitale di persone, famiglie e imprese che vivono — anche — grazie a quella produzione. Secondo i dati elaborati da SDA Bocconi, sono circa 64.000 le persone in Italia che beneficiano dei redditi generati dal sistema Coca-Cola, un numero in crescita del 6,7% rispetto al 2022. Ma il valore dell’azienda non si misura solo in termini economici. Coca-Cola è anche un laboratorio di inclusione e parità di genere: le donne rappresentano il 39% dei dirigenti e il 44% dei quadri, percentuali ben superiori alla media nazionale. Le retribuzioni, inoltre, risultano più alte rispetto a quelle medie italiane per ogni livello professionale, e il divario tra categorie è più contenuto: segno di una politica retributiva attenta all’equilibrio interno e alla valorizzazione delle persone.

