Ci sta. Che un Comune, una Provincia o una Regione, possano ritrovarsi con un debito fuori bilancio, ci sta. Può succedere che, nelle pieghe del bilancio, finisca una spesa non prevista. Ci sta. Due milioni di euro, per una corsa ciclistica, non sono un debito fuori bilancio, sono un “caso” ai limiti del paradosso, e quello che colpisce più della somma, è la naturalezza con cui la politica abruzzese tratta l’eccezione come se fosse la regola. Perché il punto non è il Giro d’Abruzzo. Il punto è l’idea di amministrazione che emerge da questa storia: un modello emergenziale reso regola, allergico alle procedure. E soprattutto convinto che alla fine qualcuno firmerà, qualcuno voterà, qualcuno dirà di sì. Sempre. La Commissione Vigilanza presieduta da Sandro Mariani, si è trovata di fronte un debito fuori bilancio privo di istruttoria. Zero carte, zero verifiche, zero analisi. Un atto che qualunque amministrazione prudente avrebbe rimandato al mittente. E invece no: la maggioranza di centrodestra è andata dritta, parere tecnico contrario o meno. Come se la legge fosse un orpello. Come se il controllo di legittimità fosse una scocciatura per giuristi maniaci. E allora il capogruppo Pd, Silvio Paolucci, fa quello che dovrebbe essere ovvio: chiedere conto, chiedere trasparenza, chiedere regole. Ma in un sistema che ha smarrito gli anticorpi, chiedere regole diventa un gesto quasi rivoluzionario. La difesa imbarazzata arriva dal presidente del Consiglio regionale Lorenzo Sospiri, che richiama in causa i dirigenti: verranno convocati, chiariranno, spiegheranno tutto. Ma è la solita liturgia: quando le procedure scricchiolano, si scarica la responsabilità verso il basso, sui tecnici. Intanto la politica vota, approva, incassa l’applauso del territorio: il Giro si deve fare, l’evento porta immagine. E se mancano le carte… pazienza. È il solito cortocircuito: si usano fondi pubblici in assenza di istruttorie, salvo poi presentare il conto come un fatto inevitabile. E guai a parlare di irregolarità: si rischia di “strumentalizzare”, dicono dalla maggioranza. Come se la trasparenza fosse un attacco politico. Il paradosso è che l’Abruzzo ha speso 3.330 euro al chilometro per un evento che avrebbe dovuto promuovere il territorio, ma ottiene l’effetto opposto: l’immagine che resta è quella di un ente che si ritiene superiore alle norme che esso stesso dovrebbe far rispettare. E se la Corte dei conti dovesse davvero intervenire — come promette Paolucci — non sarà per il ciclismo, ma per una gestione che sembra muoversi sistematicamente sul filo del “poi vediamo”. Perché il punto è proprio questo: la politica - a tutti i livelli - tratta i debiti fuori bilancio come se fossero colpi di tosse, piccole inevitabilità dell’azione amministrativa. Ma non c’è niente di inevitabile in un atto privo di istruttoria. C’è, invece, un’idea distorta di potere: quello che decide, e solo dopo prova a giustificare. Il Giro d’Abruzzo potrebbe essere una festa dello sport, un’occasione per valorizzare il territorio, una vetrina. Ma finché a pedalare saranno le scorciatoie amministrative, l’unica immagine che resterà è quella di una politica che corre, sì, ma verso il nulla. E quando la politica arriva a temere più le carte che i problemi, vuol dire che il problema è diventato strutturale.
Ad’A

