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Negli anni ’90 la Fonte di Piciacche — o come molti la chiamavano affettuosamente, “de Piciatte” — era ancora un piccolo cuore pulsante della città. L’acqua zampillava chiara e argentina, rimbalzando sulle pietre consumate dal tempo, regalando ai passanti un momento di freschezza e una pausa quasi rituale nel ritmo della giornata. Era una presenza discreta ma viva, capace di accompagnare con il suo mormorio costante le voci del quartiere, i passi veloci di chi andava al lavoro, le risate dei bambini che si rincorrevano nelle vicinanze. In pochi conoscevano davvero l’origine del nome, frutto della deformazione popolare del cognome Piercecchi, la famiglia che un tempo aveva cura e responsabilità di questa piccola ma preziosa fonte. Eppure quel nome — un po’ buffo, un po’ misterioso — era entrato nel linguaggio quotidiano dei teramani, e bastava pronunciarlo per evocare un luogo familiare, un angolo semplice e caro della città. Tutti, davvero tutti, sapevano che qui ci si poteva fermare volentieri: per bere un sorso d’acqua fresca, per scambiare un saluto, per attendere un amico o per riposare un istante sotto l’ombra degli alberi. Era una sosta naturale, spontanea, quasi parte del percorso di ogni giorno. Nel video si risente il suono dell’acqua viva, limpida, che negli anni ’90 scorreva generosa e allegra, riportandoci a un tempo in cui bastava la voce di una fontana per dare ritmo alla vita quotidiana. Quel suono oggi riemerge come un frammento prezioso della nostra memoria cittadina, un ricordo che resiste nonostante i cambiamenti, ricordandoci chi siamo stati e quanto valore possano avere anche i luoghi più piccoli, quando appartengono davvero alla nostra storia.
ELSO SIMONE SERPENTINI