In Abruzzo nel 2023 si registrano 19mila occupati in più rispetto all’anno precedente. A determinare la crescita sono quasi esclusivamente i lavoratori over 50
In Abruzzo si registrano 19mila occupati in più rispetto al 2022 ma a determinare la crescita sono quasi esclusivamente i lavoratori over 50.
Secondo l’analisi del Cresa, il Centro Studi dell’Agenzia per lo Sviluppo della Camera di Commercio del Gran Sasso d’Italia, centrali diventano le politiche di formazione dei giovani.
Nella nota del Cresa si legge che “il mercato del lavoro regionale mostra evidenti segnali di miglioramento. Nel corso del 2023 l’economia italiana ha creato quasi mezzo milione di posti di lavoro. È un numero davvero impressionante, poiché corrisponde ad una crescita annua degli occupati superiore al 2%. Per l’Abruzzo, le rilevazioni dell’Istat segnalano per il 2023 un aumento su base annua di più di 19mila lavoratori, il che corrisponde ad una crescita relativa prossima al 4%.
La variazione è principalmente concentrata tra i dipendenti a tempo indeterminato cioè quelli generalmente denominati “lavori di qualità” e riguarda l’occupazione regionale in misura maggiore di quella nazionale (+11% contro +3%). La crescita, inoltre, ha interessato più le donne degli uomini (+8% contro +1%) e tutte le classi di età, con particolare intensità quelle tra i 15 e i 24 anni (+10%) e i 50 e i 64 anni (+8%). Anche la disoccupazione mostra segnali di miglioramento. Il numero delle persone in cerca di occupazione nel periodo considerato si è ridotto in Abruzzo di più di 6mila unità, pari al -12% in termini relativi. Dopo la flessione registrata nella prima metà nell’anno pandemico l’occupazione è tornata a crescere a partire dalla metà del 2020. Tale tendenza è naturalmente una buona notizia: una forza lavoro più numerosa ha effetti positivi sulla dinamica del prodotto dell’economia, con tutti benefici che ne derivano in termini economici e finanziari.
Escludendo che l’aumento degli occupati sia attribuibile a innovative politiche del lavoro dal momento che nel 2023 la legislazione sul lavoro è rimasta pressoché invariata, fatta eccezione per la conferma della riduzione del cuneo fiscale già introdotta dal Governo Draghi nel 2022, è bene anche interrogarsi sui fattori che possono aver determinato questa crescita. Individuiamo almeno due determinanti. La prima che spiega in modo plausibile il rilevante risultato del lavoro a tempo indeterminato è verosimilmente legata all’altro lato del mercato, ossia la bassa crescita dei salari in Italia. Tra il 2021 ed il 2023 l’indice armonizzato dei prezzi al consumo – quello più utilizzato per i contratti di lavoro – è aumentato in Italia rispettivamente dell’8,7% e del 5,9%. Negli stessi anni, le retribuzioni registrano un +3% circa per anno.
Pertanto, a fronte della crescita complessiva dei prezzi nel biennio considerato di quasi il 15%, i salari nominali aumentavano di meno della metà (appena il 6%). Questo implica una riduzione dei salari reali di quasi il 9%. In altri termini, per le imprese il costo del lavoro in termini reali in Italia è diminuito di quasi il 9%: quando il salario reale diminuisce la domanda di lavoro da parte delle imprese aumenta.
Il secondo fattore attiene alla particolare composizione della crescita occupazionale. Un orizzonte temporale di riferimento più lungo ci permette di capire meglio cosa è successo nell’occupazione abruzzese (ed italiana) nel corso degli ultimi venti anni. Se dividiamo la popolazione occupata in base alle fasce di età e confrontiamo il mercato del lavoro all’inizio degli anni duemila con quello odierno, l’immagine che ci viene restituita risulta caratterizzata da una significativa ricomposizione della forza lavoro occupata.
Per un aumento complessivo di circa 11mila unità occupate riferito all’intera popolazione tra il 2004 ed il 2020, le fasce di età comprese tra 15 e 34 anni risultano contrarsi di 51mila unità da 152 a 101mila) pari al -34% mentre il numero degli occupati con più di 55 anni cresce del 108% passando da 57mila a oltre 118 mila unità. A questo riguardo, sempre con riferimento alle informazioni provenienti dall’archivio dati dell’Istat sia pur riferite ad un arco temporale più breve, si rileva che il gruppo di lavoratori con oltre 50 anni è diventato il più numeroso già a partire dal 2022.
Il numero di lavoratori in età compresa tra i 35 e i 49 anni ha imboccato un sentiero in discesa già da diversi anni. Le due classi di età più giovani hanno anch’esse una traiettoria in calo: in particolare i lavoratori in età compresa tra 25 e 34 anni in un solo quinquennio sono passati in Abruzzo da 89mila unità nel 2018 a 85 mila. In buona sostanza, la forza lavoro occupata, insieme alla popolazione abruzzese, sta invecchiando. Le cause del fenomeno dipendono in parte dalle scelte riproduttive delle famiglie e dal progressivo passaggio delle generazioni dei baby boomers all’ultima classe di età presentata in figura, quella che comprende gli individui con più di 50 anni, avvenuta con il contestuale inasprimento delle condizioni per l’accesso al pensionamento.
L’aumento complessivo dell’occupazione – fenomeno peraltro comune in questi anni a molte economie sviluppate – nel caso italiano sembra essere influenzato più dai cambiamenti strutturali nei comportamenti degli individui – in particolare l’aumento dell’età di pensionamento e la crescita della partecipazione femminile al mercato del lavoro – che dalle politiche volte a favorire l’occupazione o da un’economia in crescita. Inoltre, la possibilità che la dimensione della popolazione occupata over 50 continui a crescere è assai poco probabile considerando che, mentre i baby boomers che oggi alimentano il gruppo di lavoratori più anziani transitano progressivamente verso il pensionamento, le generazioni che dovrebbero sostituirli sono sempre meno numerose.
I dati mostrati suggeriscono ancora una volta che il tema dell’invecchiamento è già criticamente oggi all’ordine del giorno. Una forza lavoro che invecchia difficilmente possiede le competenze necessarie per affrontare i cambiamenti tecnologici nei modi di produzione. La vasta evidenza empirica sul mismatch tra domanda e offerta di lavoro e le previsioni dei fabbisogni occupazionali nel medio termine inviterebbero a una riflessione più approfondita su questo tema, su quanto è stato fatto e quanto resta da fare per migliorare le politiche per la formazione delle generazioni che sono già in età di lavoro e soprattutto per quelle che vi entreranno nei prossimi anni.
Sarebbe forse importante che, almeno sotto il profilo della qualità della formazione, le prossime schiere di lavoratori potessero compensare con una produttività crescente un fattore quantitativo che necessariamente non giocherà a loro favore”.