Secondo uno studio della CGIA di Mestre, metà degli abruzzesi guadagna e dichiara meno della media italiana. Un dato che fotografa con crudezza la distanza crescente tra la nostra regione e il resto del Paese, e che solleva interrogativi pesanti sulle reali prospettive economiche dell’Abruzzo.vLa situazione non è nuova: da anni il reddito medio degli abruzzesi resta al di sotto della media nazionale, segno di un tessuto produttivo fragile e poco competitivo. Il dato della CGIA evidenzia ancora una volta il divario strutturale che separa l’Abruzzo dai territori più dinamici del Centro-Nord.vLe cause vanno ricercate in più direzioni: la crisi del manifatturiero, la precarietà diffusa, la scarsa innovazione del sistema produttivo e un settore dei servizi ancora troppo arretrato. A ciò si aggiunge la pressione fiscale che, a parità di reddito, pesa in maniera ancora più incisiva sulle famiglie con minore capacità di spesa.vLe conseguenze sono evidenti: consumi stagnanti, giovani costretti a emigrare per cercare opportunità altrove, difficoltà crescenti per le piccole imprese locali. Una spirale che rischia di impoverire ulteriormente la regione e di allargare la forbice con le aree più sviluppate del Paese.vEppure, mentre i numeri certificano un rallentamento strutturale, il dibattito politico regionale continua a concentrarsi su singole opere e interventi spot. La mancanza di una strategia complessiva per attrarre investimenti, rafforzare la formazione e incentivare l’innovazione rischia di condannare l’Abruzzo a un ruolo sempre più marginale nello scenario nazionale. La fotografia scattata dalla CGIA non è solo un dato statistico: è il racconto di un disagio sociale che attraversa migliaia di famiglie e che dovrebbe diventare la priorità dell’agenda politica. Perché senza redditi adeguati e senza lavoro di qualità, non c’è sviluppo né futuro per la regione.